Affettività, il senso di una relazione

fr. Maggiorino

«Più fallace di ogni altra cosa è il cuore e difficilmente guaribile; chi lo può conoscere? Io, il Signore, scruto la mente e saggio i cuori, per rendere a ciascuno secondo la sua condotta, secondo il frutto delle sue azioni» (Ger 17,9-10a)

«Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati» (Gv 15,12).

1. Essere testimoni di speranza in ambito affettivo - Dobbiamo sempre ricordarci che il cristiano - colui che incarna le Beatitudini - è quello che vive come “pellegrino e straniero” in questo mondo, che sa a rontare il viaggio della vita consapevole delle di coltà e dei rischi che incontrerà sul suo cammino, ma ducioso e determinato a raggiungere la meta, fonte di senso della sua stessa vita. Parole chiave del suo percorso sono libertà dai condizio- namenti del mondo; coraggio di scommettere sul futuro al di là delle possibilità e dei limiti umani; fiducia in una presenza che accompagna e sostiene, anche nella prova e nell’azione. In altre parole, cristiano è colui che sa sperare. Oggi sembra particolarmente diffcile parlare di speranza: la perdita di un orizzonte escatologico (espressa da un generalizzato appiattimento sul “qui ed ora”), il tramontare dell’idea che la storia abbia una direzione, un senso; la confusione super ciale tra speranza e vago sentimento di ottimismo: tutto tende a banalizzare una dimensione umana che ha un respiro in nito, ossia un’esperienza che solo il Risorto può donare.

La vita affettiva, di cui ogni uomo fa esperienza dal suo nascere e che occupa grande spazio lungo tutta la sua esistenza, è oggi particolarmente soggetta a questa banalizzazione e rappresenta pertanto un vero e proprio banco di prova per una testimonianza credibile della speranza cristiana. La libertà, il coraggio, la fiducia e la speranza del cristiano sono così messe alla prova anche e soprattutto nelle esperienze affettive, oggi sempre più vissute come realtà dell’io individuale. L’altro, è visto come qualcosa di minaccioso da cui difendersi o del quale appropriarsi per non esserne a propria volta fagocitato. L’origine di tale disperazione si deve alla tendenza a contrapporre affetto e norma, passione (pathos) e ragione (logos) e a ridurre a pura emotività l’esperienza affettiva, passiva e ingovernabile dalla volontà e dalla ragione. Affetto e amore sono spesso confusi con emozione, sentimento, soddisfazione effimera. Prima di parlare di affetti è importante pertanto chiedersi di quale vita affettiva si sta parlando e soprattutto di quale uomo si sta parlando.

2. Un’autentica vita affettiva non può che essere un’esperienza di relazione - La cultura contemporanea sembra incapace di pensare la “relazione”, ossia di pensare a ciò che lega le persone tra loro. È come se oggi – al contrario – si a ermasse che dove c’è relazione con l’altro non ci può essere spazio per il soggetto ed i suoi diritti individuali. Separazione, divorzio, denatalità, ricorso a tecniche di fecondazione artificiale nella logica del “diritto alla maternità” e del “ figlio a tutti i costi”, sono fenomeni in crescita che mostrano come, in nome della libertà individuale sia sacrificato ogni significato che riconduca al legame con l’altro, con il diverso da sé. In realtà tra identità individuale e relazione con l’altro esiste un legame indissolubile, al punto che si può a erffmare che la capacità di relazione non è un’abilità, ma l’abilità che definisce l’essere umano. Anche la psicologia lo conferma. L’essere umano nasce – per così dire – “psicologicamente” nel rapporto con l’altro (la madre) e cresce grazie alla sua capacità di stabilire altre relazioni adeguate con le persone che costituiscono il suo ambiente familiare e sociale. Il bambino è da subito, fin da quando è nel ventre materno, un soggetto capace di comunicazione e relazione. Ma spingiamoci ancora oltre: la persona non può neppure de nirsi se non in relazione agli altri: anche quando si tratta di dare una de nizione di sé, rispondendo alla domanda “chi sono io?”, ci accorgiamo che tale de nizione ( glio/ glia, moglie/marito, madre padre, fratello, amico, professionista...) è fondata su relazioni e legami con l’altro.

3. Un’autentica vita affettiva non può essere disgiunta da una dimensione etica - L’affetto privato di una direzione verso cui tendere, si riduce a pura emotività e sentimentalismo. È dunque una combinazione di qualità etico-affettive a costituire la struttura portante di tutte le relazioni. Noi oggi ci troviamo davanti ad un grave rischio: assistiamo ad una sorta di “ipertro a” dell’a etto, uno sbilanciamento a favore degli aspetti emozionali a discapito di quelli valoriali con un’affettività sradicata dall’ethos, da una prospettiva di senso, percepita come pura saturazione di un bisogno, senza direzione e scopo, ridotta a puro sentimentalismo, a “ciò che si sente”, si prova. Sintomatica – a questo proposito – la percezione di anacronismo che suscita oggi la parola “ fidanzamento”. Il tempo dell’affetto messo alla prova, della verifica, orientamento ad un futuro attraverso una promessa di impegno, - fiduciosa nei confronti dell’altro, ha lasciato spazio ad esperienze “usa e getta” o tutt’al più a reiterati tentativi per “prove ed errori”, vissuti sostanzialmente come sperimentazioni narcisistiche della propria capacità di seduzione o come conquiste per confermare la propria identità e soddisfare i propri bisogni. Anche nella difficoltà di fidanzarsi e di vivere il fidanzamento come banco di prova dell’affetto, come occasione per incamminarsi e verificare la propria vocazione, si esprime dunque la tendenza attuale a sradicare l’affettività dalle sue più profonde ragioni e la diffcoltà ad approdare ad una visione dell’affetto come incontro con l’altro, come relazione. Tutto ciò mette a dura prova la tenuta delle relazioni affettive e ancora di più la loro forza generativa e benefica.

4. I legami di fratellanza e di amicizia - Pur nella diversità della loro natura (di sangue i primi, d’elezione i secondi) si tratta di legami molto simili. Le relazioni amicali sono spesso sostitutive di quelle fraterne e, in un certo senso, esprimono il bisogno di legami fraterni tra gli uomini (non è un caso che per descrivere un’amicizia profonda si dica spesso “è per me come un fratello”). Le relazioni tra fratelli e tra amici costituiscono un prezioso terreno di esperienza dell’uguaglianza e della diversità al tempo stesso. I fratelli devono, infatti, da sempre e per sempre fare i conti con una storia comune, con una stessa matrice genetica e culturale; ma al tempo stesso si riconoscono da sempre e per sempre come differenti per caratteristiche individuali, per esperienze personali diverse, per le modalità con cui hanno elaborato differentemente tale comune appartenenza familiare. Gli amici si scelgono spesso per complementarietà o per somiglianza: anch’essi dunque sono chiamati come i fratelli a “distinguersi nella somiglianza” e ad “assomigliarsi nella diversità”, non negando le differenze al punto di appiattirsi in una rassicurante, ma pericolosa “riproduzione” dell’altro, ma nemmeno esasperandole al punto di non riconoscere qualche aspetto di sé facilmente individuabile anche nell’altro. Quando si pensa alle relazioni fraterne e amicali, si oscilla tra aspetti positivi quali intimità, solidarietà, lealtà e categorie negative quali rivalità, gelosia, conflitto. Tale ambivalenza non è che uno specchio della realtà: nella relazione fraterna come in quella amicale, infatti, entrambe queste dimensioni sono costantemente compresenti. Come in tutte le relazioni, dunque, accanto ai processi positivi e generativi sono sempre in agguato quelli degenerativi. La condizione alla quale è possibile far prevalere i primi, è ancora una volta che sia riconosciuta la valenza etico-a ettiva dei legami. Ciò signi ca che, nelle relazioni fraterne e amicali, a nché consolazione, appoggio e rispecchiamento (aspetti a ettivi) non si traducano in una narcisistica ricerca di sé, è fondamentale che siano sempre presenti l’oblatività, il supporto, la gratitudine, ossia il rispetto non solo per ciò che l’altro fa per noi, ma anche per ciò che l’altro è.

5. Il legame di coppia ed il suo itinerario educativo - La reciprocità originaria dell’uomo e della donna e la loro potenzialità generativa, rendono il legame di coppia il “paradigma” delle relazioni orizzontali alla pari. Nel “mistero grande” della comunione tra uomo e donna (“non più due, ma una sola carne”) si rivela la persona come segno, immagine di Dio, per questo l’educazione alla vita di coppia è un lavoro di accompagnamento che deve partire da lontano. Inoltre sfugge troppo spesso la portata rivoluzionaria dell’esperienza dell’amore coniugale che testimonia al mondo la possibilità di realizzare sulla terra un legame che ha qualcosa di divino, che parla di eternità in un mondo dominato dalla precarietà, di ducia e speranza alle nuove generazioni così spesso scoraggiate e rassegnate; di futuro e di generatività ad una società schiava dell’immediato e spaventata dal domani. Educare all’affettività e alla vocazione matrimoniale è educare alla formazione della Persona nella sua interezza; è educare al senso del limite e della propria nitezza: l’altro ci aiuta a superare l’illusione di onnipotenza narcisistica di cui oggi il mondo è malato. Le coppie necessitano comunque di supporto non solo nella fase della loro costituzione, ma anche nel tempo. Aver cura del patto coniugale comporta, infatti, non tanto il costruire una volta per tutte un armonico equilibrio tra aspetti etici ed affettivi, ma attuare un rilancio continuo del legame di coppia: la costruzione del patto è un processo costante, continuamente modificato e messo alla prova dagli eventi della vita, intrinsecamente esigente per la sfida implicita che porta dentro di sé nel tendere a fare di due persone “una cosa sola”, ossia nel ricondurre ad unità due differenze. Il compito fondamentale cui la coppia è chiamata è proprio quello di sapere gestire la conflittualità derivante dalla differenza tra uomo e donna, dall’incontro-scontro tra due storie familiari e sociali diffrenti (da rielaborare in modo originale attraverso il complesso processo di distinzione di coppia dalle famiglie d’origine e la costruzione graduale di una nuova e originale rete relazionale condivisa).

 

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