...stavano a guardare

fr. Maggiorino

«2bNon ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per provare in lui diletto. 3 Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima»  (Is 53, 2b-3).

Nell'ora della croce di Gesù i suoi discepoli più intimi - gli apostoli - scompaiono, rimangono però presenti diversi personaggi che ci aiutano a comprendere a tracciare una mappa della nostra consapevolezza di questo avvenimento e anche della nostra coscienza.

Non è il bel volto di un crocifisso glorioso ma uno "spettacolo" davanti al quale si fa fatica a sostenere la visione. L'immagine dell'uomo della Sindone, rivela circa 600 ferite, una ferita tra naso e guancia destra causata da un bastone, abrasioni sulle palpebre e sulle sopraciglia, emorragia dalle narici e deviazione del setto nasale. Numerosi schizzi di sangue sul volto causati dalla corona di spine postagli sul capo. Centoventi ferite sono state causate da colpi di flagrum, una frusta romana composta da tre lunghe cinghie con uncini che causavano lo strappo della carne ad ogni frustata. Poiché la flagellazione è avvenuta con Gesù piegato e legato con le mani ad un palo, le cinghie della frusta si avvolgevano intorno al suo corpo ad ogni sferzata e ne colpivano la parte anteriore: il torace, l'addome, le gambe. Gesù portò solo la trave orizzontale della croce, il patibulum, le mani erano legate ad essa. Questo legno doveva essere lungo circa 180 cm e pesare 30 chili. Durante il percorso di 500 metri, Gesù barcollò e cadde più volte anche con la faccia a terra. Fu inchiodato con un chiodo che trafisse l'osso tarsale dei piedi, il piede sinistro sopra quello destro; le mani furono inchiodate alla croce a livello dei polsi.

Questa è l'immagine che ci si presenta davanti il venerdì santo sul Golgota. In questo giorno, siamo particolarmente chiamati a contemplare questa scena. Leggiamo il racconto della crocifissione che fa Marco (Mc 15, 24-41) e proviamo ad indagare sugli sguardi che i vari personaggi presenti dedicano al Crocifisso, per cercare di riconoscere a quale assomiglia il nostro sguardo. Nel Vangelo l’occhio è usato talvolta come immagine di ciò che c’è nell’uomo e nel suo intimo, è usato per dire ciò che noi chiamiamo coscienza.

Lo sguardo altrove è quello dei dei distratti. «Poi lo crocifissero e si divisero le vesti, tirando a sorte su di esse quello che ciascuno dovesse prendere» (15,24). Sotto la croce c’è chi è indaffarato e non ha tempo di stare a guardare. Lo sguardo dis-tratto, oltretutto dalla veste messa a sorte. Dalla croce di Gesù ci si può distrarre, la vita ci offre mille altre incombenze e preoccupazioni che appaiono più redditizie, più urgenti.

Lo sguardo ovvio dei passanti, sguardo frettoloso che conclude rapidamente alla stupidità di quel pazzo che muore. «I passanti lo insultavano» (15,29-30). Non si tratta solo di prendersi gioco, il verbo usato per dire come insultavano, è un verbo che dice bestemmia contro Dio. Lo stesso scuotere il capo sta ad indicare come i passanti ritengono che quella subita da Gesù sia la ovvia conseguenza che deve attendersi chi si spaccia per salvatore. Che dio è mai un dio che non sa cavarsela? Non si guarda forse dal valore di una persona, in base alla sua capacità di cavarsela sempre in qualunque occasione?

Lo sguardo supponente dei sommi sacerdoti e degli scribi (14,31-32). Uno che salva gli altri e non è in grado di salvare se stesso, non solo non può essere Dio ma è un buono a nulla. Essi non guardano più a Gesù ma parlano di lui. Quando il nostro sguardo si alimenta alla contemplazione, e quando invece è una proiezione delle nostre opinioni?

Lo sguardo rivoltoso dei condannati. «E anche quelli che erano crocifissi con lui lo insultavano». Il termine greco “lestos” (= ladroni) può anche significare rivoltosi. La loro idea di liberazione si scontra con quella di Gesù: per loro il Messia non può che essere un rivoluzionario vincente. Per credere essi hanno bisogno di una prova, prova che però è stabilita da essi. Quando il nostro credere dipende da ciò che vediamo?

Lo sguardo frontale del centurione (14,33-39). Da pagano non misura ciò che vede sulle sue idee, ma osserva. Come arriva alla fede? «Vistolo spirare in quel modo». Gesù muore in un modo estremamente umano. Per quanto si senta abbandonato da Dio, si affida a Dio. Dio abita ogni situazione dell’uomo, anche la più invivibile come la morte.

Lo sguardo operoso delle donne (14,40-41). Posizione complementare al centurione. Alla professione di fede si deve accompagnare la disposizione di vita.

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