Il valore della povertà

fr. Maggiorino

Una promessa che si realizza oggi: il regno dei cieli

La prima delle beatitudini è anche quella che in qualche modo racchiude in sé tutte le seguenti, o meglio, le suscita; inoltre sono questa e l'ultima (i perseguitati per la giustizia) le uniche beatitudini che sono al presente e promettono il regno dei cieli. Come a dire che se gli afflitti, i miti, gli affamati di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore e gli operatori di pace riceveranno soddisfazione un giorno, sono i poveri e i perseguitati che possono sperimentare già ora la gioia del regno dei cieli. Non è facile comprendere come sia possibile questa gioia, soprattutto se non comprendiamo il significato della povertà evangelica che va spiegato per non confonderlo con un semplice disprezzo dei beni terreni. In che modo bisogna essere poveri?

 


FARSI POVERI

È sorprendente scoprire nel racconto biblico del popolo di Israele come, attraverso le varie vicende storiche, Dio lo ha accompagnato alla conoscenza di Lui e alla cosapevolezza di essere Popolo di Dio. I medesimi passi possiamo riconoscerli nella vita di ciascuno di noi. È auspicabile che la mia vita spirituale, la mia fede, sia più matura di quando ero bambino. Questa presunta crescita è avvenuta attraverso il mio personale percorso di vita, attraverso esperienze gioiose e per questo desiderabili ma anche "capitomboli" clamorosi. Anche la conoscenza del valore della povertà è conquistata percorrendo un esperienza storica ben precisa che passa anche per i dirupi del fallimento.

2Re 22,1-2 «1Quando divenne re, Giosia aveva otto anni; regnò trentun anni a Gerusalemme. Sua madre, di Boskat, si chiamava Iedidà, figlia di Adaià. 2Fece ciò che è retto agli occhi del Signore, seguendo in tutto la via di Davide, suo padre, senza deviare né a destra né a sinistra». 

Dopo una serie di sovrani che «fecero cio che è male agli occhi del Signore», divenne re Giosia (648 a.C. - 609 a.C.) il quale si impegno in un opera di purificazione religiosa al punto da essere considerato un secondo re Davide; fece sparire ogni forma di idolatria e fece mettere in pratica la parola del Signore. Tuttavia, alla sua morte venne messo sul trono suo figlio Ioiakim, il quale in breve tempo strinse alleanza con il faraone d'Egitto, ripropose culti stranieri e si comporto in modo dispotico ed ambizioso nei confronti del suo popolo. In tale maniera il culto e l'impegno religioso decadé di nuovo riducendosi a puro formalismo.

Ger 7,1-15
«4Non confidate in parole menzognere ripetendo: «Questo è il tempio del Signore, il tempio del Signore, il tempio del Signore!»... 8Voi confidate in parole false, che non giovano: 9rubare, uccidere, commettere adulterio, giurare il falso, bruciare incenso a Baal, seguire altri dèi che non conoscevate. 10Poi venite e vi presentate davanti a me in questo tempio, sul quale è invocato il mio nome, e dite: «Siamo salvi!», e poi continuate a compiere tutti questi abomini».

In quel tempo, il profeta Geremia fece di tutto per richiamare ad un cambiamento di rotta e tornare così ad affidarsi esclusivamente a Dio e non alla potenza egiziana, evitando così la catastrofe. Purtoppo il popolo si sente potente ed invincibile; riposa tranquillo sulle promesse di Dio e sui molti doni ricevuti da Lui. Sull'onda di questi sogni di gloria, i capi dei minuscoli stati palestinesi programmano contro il giovane re Nabucodonosor. Interviene Dio per mezzo di Geremia per fare sapere che ogni ribellione è inutile e disastrosa ma non è ascoltato, anzi è isolato, deriso minacciato. Però, Geremia non si arrende anche se fustigato e gettato in carcere (Ger 18,18). Dopo Giosia, succede al trono Sedecia, ed è proprio sotto il suo regno che Nabucodonosor davanti all'ennesimo tentaivo di rivolta del regno di Giuda (2Re 25,1-7; Ger 14,17-21) non pazienta più. È l'anno 586 a.C., Gerusalemme è completamente rasa al suolo. Gli uomini validi sono tutti deportati in esilio (Ger 52)

Sal 137,1-6
«1 Lungo i fiumi di Babilonia, là sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion. 2 Ai salici di quella terra appendemmo le nostre cetre, 3 perché là ci chiedevano parole di canto coloro che ci avevano deportato, allegre canzoni, i nostri oppressori: «Cantateci canti di Sion!». 4 Come cantare i canti del Signore in terra straniera? 5 Se mi dimentico di te, Gerusalemme, si dimentichi di me la mia destra; 6 mi si attacchi la lingua al palato se lascio cadere il tuo ricordo, se non innalzo Gerusalemme al di sopra di ogni mia gioia».

In Babilonia, paura, disorientamento, sensazione di abbandono da parte di Dio, ma Dio non ha abbandonato il suo popolo, anzi egli stesso si fa esule (Ez 10,1-9). «Non temere perché io sono con te; non smarrirti perché io sono il tuo Dio» (Is 41,10). In esilio nasce la comunità dei poveri di YHWH. In esilio nasce il nuovo popolo messianico composto non da grandi uomini, conquistatori, guerrieri, ma da gente povera ed umile (Anawim), oppressa ma piena di timore e confidenza in Dio. La via della liberazione non è quella della rivolta ma dell'accettazione e sottomissione alla volontà di Dio. Come si erano umiliati davanti ai babilonesi, così devono farsi piccoli e umili davanti a Dio. Questi poveri e umili scoprono la dimensione della gratuità della salvezza: è Dio che salva, è Dio che guida gli eventi, è soprattutto a lui che sono da attribuire conquiste, scoperte e progresso. È allora che si scoprirà il valore del "farsi poveri" (cfr. Sof 2,3).