Indifferenza? Mai!

Gabriella

NON RINUNCIARE ALLA FAME E ALLA SETE DI GIUSTIZIA  

Non rimarrò nel vestibolo, o brucerò all’Inferno, o andrò in Paradiso. Non sarà l'indifferenza a  vincere la mia vita, non lo ha mai fatto finora. Se odiare è un sentimento ammesso, ebbene anche io odio gli indifferenti, quelli che non prendono mai una parte, per paura (e li posso comprendere) o per calcolo (e non li posso proprio sopportare). Io ho sempre preso una parte, di star zitta, di lasciar correre proprio non ce la faccio. E quando prendo parte, ecco che mi sento pienamente “io”. 

 Di temi su cui non rimanere indifferenti, su cui esprimere fame e sete di giustizia - come ci avete ricordato voi cari frati - tenendo sullo sfondo il passo del Vangelo di Matteo, con il discorso delle beatitudini, ce ne sono tantissimi. Sono i temi su cui prendere una parte e iniziare a costruire la “città del futuro”, quella evocata nello scritto di Antonio Gramsci, quella “che nasce con noi nel presente”. 

Pensiamo a come ci poniamo di fronte al dramma dei migranti, della povertà, della solitudine, della violenza sulle donne e sui bambini e alla scelleratezza con ci tutto ciò viene raccontato e consumato, l’orribile nutrimento delle nostre giornate indifferenti. Avviene oggi più che mai, quando bastano poche immagini che si aprono e si chiudono a nostro paicimento, a renderci spettatori.

 Ha detto bene il Santo Padre a riguardo: siamo di fronte alla “globalizzazione dell’indifferenza”, ai morti che non son più persone, ma numeri, al dolore che non è più motivo di umana compassione, ma il contenuto sempre più crudo e sovabbondante di uno spettacolo: non monito delle nostre coscienze, ma punto di forza del palinsesto quotidiano. 

Prendo ad esempio alla vicenda dei migranti che da almeno tre anni abbiamo davanti ai nostri occhi. Oramai il racconto ha toccato il punto più estremo ben rappresentato, nella sua atrocità, dal dramma dei bambini. Ho in mente l’immagine del bimbo siriano (di un anno e mezzo fa) morto annegato, fotografato su una spiaggia della Truchia dove nella notte era arrivato l’ ennesimo barcone di disperati. Lui, piccolo, non ce l’aveva fatta. All’inizio è stato mostrato con timore, oggi è visibile come se in quella foto non ci fosse più nessuno. Ecco, io in questo vedo la mia fame e sete di giustizia, in questa immagine e nella storia di tutte queste persone sento il dovere di non rimanere indifferente. Nel dolore delle madri e di padri che hanno visto ingoiare dal mare i propri figli; dei figli che nella speranza di una vita senza guerre e fame sono rimasti orfani, soli. Eppure Aleppo è una città distrutta, lo sappiamo, lo vediamo. In Eritrea ci sono dittatura e violenza e in altri luoghi da cui provengono queste persone fame e torture. E ancora di più lungo il loro viaggio. A Lesbo i migranti hanno trovato la fine dei loro sogni, qui in Europa, la ricca Europa, che non ha saputo creare corridoi umanitari per salvarli e pensare a dar loro un futuro, ma lungo i sui confini orientali si è affrettata a costruire barriere e campi di accoglienza, dove la prima cosa che si sta cancellando, insieme alla dignità di tutte queste persone, è la loro speranza. Come rimanere indifferenti a tutto questo? Come rimanere indifferenti alle immagini di una neonata appena venuta al mondo con meno di niente, lavata dal padre fuori da una misera tenda dove su madre l’ha appena partorita(nella ricca Europa), nel campo di Idomene. Come non sentirsi spaccare il cuore di fronte al pianto disperato di quella bambina incontrata dal Santo Padre? Come restare ignavi di fronte alle sua richiesta di aiuto?

Nella Misericordiae Vultus di Papa Francesco, che ricordo perché al centro di un incontro quaresimale dello scorso anno, è scritto: “Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita”. Questo voglio che sia il mio monito! Affinché non ci si tiri mai indietro, ma si guardi con occhi sinceri il fratello che si incontra nel cammino della vita e senza fare mai quelli che si voltano dall’alltra parte, perché nessuno guarda, o perché è più bello e comodo guardare altrove.

 

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