Facciamo che sia molto più di un like

Gabriella

La catechesi proposta da fr. Maggiorino per la Veglia di Capodanno ha messo in luce le debolezze del nostro tempo aprendo percorsi di riflessione. Uno è giunto anche a noi.

Eh sì, ha ragione lei Padre, questo anno deve valere più di un like. Il passaggio dal 2018 al 2019 che abbiamo vissuto prima in Convento e poi in Santuario, grazie alla catechesi che ha preceduto la Santa Messa di mezzanotte, ci ha permesso di pensare, se mai non l’avessimo fatto prima, al punto in cui questo mondo - e soprattutto il modo in cui lo viviamo - sono  arrivati. Basta davvero un like su Facebook, Twitter o Instagram, per citare i social network che mettono in relazione milioni di persone del pianeta, per dire che ci siamo e ci stiamo? Basta un click sul pollice blu a qualificare la nostra presenza, la nostra appartenenza, la nostra esistenza? No Padre, un like non basta. È una scorciatoia, un’adesione per vie brevi per dire di essere parte di qualche cosa, senza mai essere parte di nulla, se non di uno spropositato e globale chiacchiericcio. Dove noi non ci siamo affatto. Un parlar dalla superficie, mettendo in evidenza noi stessi, ma senza mai mettersi in gioco veramente. Siamo diventati persone che – come acutamente ha sottolineato lei – non siamo capaci più nemmeno di comunicare, di considerare le parole come dei veicoli di significato, un significato che dia forma al pensiero. Forse perché nemmeno più pensiamo. Passiamo da poche espressioni ripetute, quasi come un ritornello inceppato o uno slogan in loop, a continui fiumi di parole, dove ci sono pause solo per prender fiato e non certo per ascoltare. Dove la ripetizione, quasi si comunicasse tra persone che ci sentono poco, è continua e insistente. Nella notte di vigilia del nuovo anno in Santuario ci siamo domandati il perché di tutto questo. Le parole un tempo hanno smosso il mondo, hanno creato il mondo, sono state e tuttora sono la manifestazione di Dio, qui  e ora, nell’Antico Testamento e nel Vangelo. Ce lo ha ricordato lei facendo riferimento al prologo del Vangelo di Giovanni: “In principio era il Verbo e il Verbo era Dio e il Verbo era presso Dio”. E ai primi versetti dal libro della Genesi. “Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu.”. La Parola di Dio dice e fa. E noi la conosciamo per la sua potenza e la sua Verità, perché è una promessa che è certezza.

E le nostre parole, come sono ora? Hanno in sé questo valore? Dove sono finite le parole che sapevano aprire una via, una futuro di senso e non di presente non-senso? Dove sono le parole che davano esistenza, che vivevano veramente di noi e in noi? Il profeta Qoelet, da lei scelto per la catechesi, ci dà una risposta, tanto dolorosa quanto vera: “Tutte le parole si esauriscono e nessuno è in grado di esprimersi a fondo”. Il profeta Qoelet ci lascia testimonianza più di duemila anni fa di ciò che ora viviamo. “Vanità delle Vanità, tutto è vanità” dice all’inizio del suo canto, un canto amaro, di chi ha visto scorrere davanti ai propri occhi la verità che sta lasciando in dono a tutti e che ora, come allora, resta ferma nel tempo. Perché Qoelet ce lo dice apertamente: il tempo non è quello che noi pensiamo, quello che noi viviamo. In noi è stata posta un’eternità che non riusciamo a cogliere. E a far nostra. Viviamo piuttosto una illusione di cambiamento, come la fine di una anno e l’inizio di un anno nuovo. “Quel che è stato sarà e quel che si è fatto si rifarà, non c’è niente di nuovo sotto il sole. C’è forse qualche cosa di cui posso dire: «Ecco, questa è una novità?»”. Questi versi che lei ha letto ci aprono gli occhi su un’ inesorabile visione del mondo, che vive, fatica e si consuma di generazione in generazione “ma la terra - dice Qoelet - resta sempre la stessa”.

E noi dove siamo? Veramente le nostre parole si sono esaurite? E nessuno è più in grado di esprimersi? Pare proprio di sì. E allora la sua esortazione verso questo nuovo anno diventi la nostra via di uscita, perché non basta un like per esserci: “Torniamo ad usare parole vive, che abbiano in sé un atto, che aprano ad una storia, che custodiscano un’eternità senza essere morte o come ha detto lei “nere”, ovvero parole che costruiscono un discorso, ma alla fine non dicono nulla. E impariamo il valore del Silenzio. Che non vuol dire assenza ma pienezza Così lei ce lo ha fatto comprendere con la metafora della musica: cosa sarebbe una melodia se non ci fossero le pause? Quale armonia avremmo in un’ininterrotta sequenza di note? Non sarebbe questo solo rumore? Usciamo dunque dal baccano in cui ci siamo abituati a vivere e riconquistiamo ogni giorno il tempo dell’attesa, che si riempie di significato, che non si esaurisce in un rapido susseguirsi di attimi, ma dà la Pace al nostro vivere. E allora sì che si potrà andare oltre un semplice like, oltre ogni inutile convenzione che ci spinge ad aderire al minimo anziché fare una scelta vera, a essere un piccola parte anziché il protagonista, a spegnere una fiammella anziché accendere la luce che dura per sempre.

A mezzanotte mentre già fuori dal Santuario i primi botti annunciavano l’arrivo del nuovo anno ed eravamo in attesa dell’inizio della Santa Messa ho pronunciato le mie prime parole del 2019. Mentre alcuni sottovoce si scambiavano gli auguri, ho chiuso gli occhi e ho detto: “Padre Nostro che sei nei cieli…”. E le campane suonavano a festa. Ha ragione lei Padre, la nostra parola deve essere riflesso della Parola di Dio, una parola che dice e fa. Il 2019 val molto più di un like. Ci sono ancora parole che non abbiamo esaurito.

(by CanepaLab)

 

 

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