Il senso del peccato e del perdono

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Il senso del peccato e del perdono
Lungo il cammino verso Assisi una riflessione profonda e personale sul significato della marcia francescana

di AGOSTINO SACCHI
Marciare verso il Perdono di Assisi è un'esperienza difficilmente comunicabile. Se tentassi di dar conto di luoghi e persone, avrei sicuramente molto da riferire, ma tralascerei l'essenziale: ciò che mi hanno lasciato le catechesi e i silenzi. Di questo vorrei parlare nel limite delle mie capacità.

Senso del peccato è un'espressione dal suono aspro, puritano, spesso confusa con senso di colpa. Quest'ultimo porta allo scrupolo, al rimorso, ma non redime. Quando mi sento in colpa ciò che veramente mi fa soffrire è il mio ego ferito: non sono stato perfetto come avrei voluto, e me ne vergogno. Per questo tengo ben nascosta la mia colpa, magari proiettandola su qualcun altro. Ma il senso del peccato è tutt'altra questione, perché il peccato è innanzitutto un problema di inautenticità: pecco nella misura in cui non mi conosco. “Chi sei Tu? Chi sono io?” (FF 1915): più cercherò di capire chi è Dio nella mia vita, più coglierò qualcosa di me e viceversa. Credo che sia uno sforzo necessario, l'unico veramente sensato. La pena è una vita trascorsa ad “arrangiarsi”, costruita sul niente che tanto mi rassicura.  Ma, obiettivamente, perché mai dovrei mettermi in discussione? Perché la mia vita, in realtà, è un'unica discussione aperta. Il peccato è negare questa evidenza. Se concentro lo sguardo, quante questioni irrisolte, quante ferite potrei trovare! Quando poi mi sforzo di contemplarle, ecco che subito ricado nella falsità: guardo alle ferite che sono già state sanate e mi dico: “Il Signore mi ama!”, ma non è che un modo per deviare l'attenzione da quelle ancora aperte,  scadendo nell'autocompiacimento. È bene ringraziare il Signore per quanto ha realizzato nella mia vita, ma se mi limitassi a questo, perderei di vista tutto quello che può ancora compiere. Prima giudicavo puerile avanzare richieste nella preghiera – mi dicevo “Ha già fatto tanto per me...” – ora invece capisco che se Dio è Padre sono chiamato a riconoscermi figlio bisognoso. Così infatti il fariseo ringraziava e, nel contempo, si gonfiava come un rospo davanti al Signore, mentre il pubblicano chiedeva perdono e godeva della sua misericordia (Lc18,9-14). In ciò risiede la bellezza del senso del peccato: lo si prova soltanto quando già si gode della misericordia del Padre (penso anche a Lc15, 11-32) e non si ha vergogna. Il fariseo si rifiutava di guardare alle proprie infermità, rimaneva immacolato, ma solo, mentre il pubblicano entrava in contatto con Dio proprio attraverso la parte peggiore di sé. Non a caso, mentre ci trovavamo a La Verna, Padre Enzo Maggioni ci ha spiegato la profonda connessione tra amore e perdono: chi non perdona non ama e non ama perché non si sente perdonato.  

Credo che il senso della Marcia Francescana sia anche questo: calarmi in una condizione di limite per prendere coscienza dei miei limiti, di quelle ferite che sottrarrei altrimenti allo sguardo di Dio, l'unico che può sanarle.

 

 

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