Francesco D'Assisi: Uomo Cristiano Cattolico

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Un equivoco in cui siamo incappati tutti noi appartenenti alla Chiesa Cattolica è stato quello di sottolineare molto l'aggettivo cattolico e poco il sostantivo cristiano. Quello che voglio dire è che siamo chiamati a mettere al centro il sostantivo cristiano, con specifico riferimento alla persona di Gesù Cristo e alla scelta che siamo chiamati a fare di fronte al suo invito a farci suoi discepoli.

Al mio modo di vedere, uno dei problemi che caratterizza la vita dei "cattolici" oggi è quella di identificarsi con la Chiesa Cattolica, con la sua prassi sacramentale, e poco al mistero della vita di Gesù Cristo, figlio di Dio! Richiamo una frase di san Basilio che ci aiuta ad andare al nocciolo della questione: Prima si diventa cristiani e poi si accede ai sacramenti. Sottolineiamo come per i cattolici italiani la frequentazione della S. Messa domenicale è calata drasticamente in questi ultimi decenni:

In Italia, chi partecipa a un rito religioso almeno una volta alla settimana è circa il 19% della popolazione, mentre il 31% non frequenta un luogo di culto se non in occasioni di eventi particolari come battesimi, matrimoni e funerali. L’altra metà degli abitanti vi si reca in modo discontinuo: una volta al mese, qualche volta l’anno, nelle grandi festività. Questi dati provengono da un’indagine dell’Istat – la più recente, rappresentativa e attendibile che ci sia sulla pratica religiosa nel nostro Paese – e si riferiscono al 2022. Da questa indagine, si evince dunque che l’appuntamento settimanale in un luogo di culto (per i cattolici la messa domenicale) attrae sempre di meno, con la pandemia che ha accelerato questo andamento di lungo periodo. In generale, il calo della pratica religiosa coinvolge tutti i Paesi occidentali, anche con percentuali di molto superiori a queste: questo rappresenta una prova vitale per la Chiesa e ogni confessione.

Se il sentirsi cattolico si riduce alla frequentazione della Messa domenicale, e poco di più nella migliore delle ipotesi, l'essere cristiano rimanda ad una sequela quotidiana del Cristo, attraverso il contatto vivo con quanto i Vangeli ci raccontano di Lui. Una vita bella e piena consiste nel lasciarsi pro-vocare da quanto il Signore Gesù ha detto e fatto e percorrere insieme a Lui la strada del nostro quotidiano. È chiaro che in un tempo caratterizzato da: crollo di tutte le sovrastrutture; messa in discussione ogni forma di autorità; non centralità del cattolicesimo, quale fattore culturale condiviso; processo di secolarizzazione galoppante, dove l’Italia non è più uno stato cattolico; tanti prendono le distanze dalla proposta che la  Chiesa Cattolica continua a fare, in quanto si basa su un’appartenenza che non è più sentita come tale.

È anche vero che tanti imboccano la strada del rapporto diretto con Dio, in una sorta di “fai da te” (fratello di un individualismo imperante e dilagante), frutto di emozioni passeggere e del "va' dove ti porta il cuore": strada che rischia di disaffezionarli sempre più dalla Chiesa Istituzione e da un sentire ecclesiale. Chi rimane, invece, a frequentare la Chiesa Cattolica non è messo meglio in quanto tante volte la prassi è frutto di radicata abitudine (l'Iniziazione Cristiana ha lasciato il suo segno) o forte senso del dovere (la paura dell'inferno gioca brutti scherzi), per non parlare dei sensi di colpa che costringono a dover confessare, a volte con sentire angosciante, la non partecipazione alla Santa Messa domenicale, dimenticando la misericordia, la pietà e la giustizia.

Mi sembra, a mio modesto e personale parere, che siamo educati nella dottrina e nella prassi cristiana, avendo come riferimento più il Catechismo della Chiesa Cattolica che il Vangelo di nostro Signore Gesù, ovvero hanno avuto la meglio le tante norme ereditate dalla tradizione della Chiesa Cattolica più che la persona di Gesù Cristo, che parla ancora a noi oggi nel Vangelo. A volte ho l’impressione che il cattolico medio segua più i Dieci Comandamenti di Mosè che il Precetto dell’amore del Signore Gesù, infatti l’esame di coscienza e conseguentemente la celebrazione del Sacramento della Penitenza, viene fatto avendo davanti le due tavole del Sinai più che il corpo di carne di Gesù Cristo sul Golgota. Mi permetto di sottolineare con forza che il vero esame di coscienza deve essere fatto sulla vita del Signore Gesù, ma questo presuppone conoscerla, attraverso la lettura amorosa e quotidiana del Vangelo. La coscienza, se educata secondo la parola di Dio, garantisce la libertà e genera la pace del cuore, infatti come diceva il cardinale Newman “La coscienza è l'originario vicario di Cristo”. «La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità. Tramite la coscienza si fa conoscere in modo mirabile quella legge che trova il suo compimento nell’amore di Dio e del prossimo» (Gaudium et Spes 16). Emerge qui il tema, di vitale importanza, della formazione della coscienza.

Si impone un ritorno a Gesù e al Vangelo da lui proclamato! Questo è quello che ha fatto Francesco d'Assisi, così come egli ricorda nel suo Testamento: "Nessuno mi diceva che cosa dovessi fare ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo la forma del Santo Vangelo". Certamente egli si è avvalso dei preziosi consigli del vescovo di Assisi ma l'esperienza dell’incontro personale che aveva fatto con il Cristo povero e Crocifisso lo aveva segnato nel profondo del suo intimo.

Francesco all'inizio del suo cammino di conversione si affida alla Parola ascoltata durante la celebrazione della Santa Messa, poi spiegata nei dettagli dal sacerdote:

Ma un giorno in cui in questa chiesa si leggeva il brano del Vangelo relativo al mandato affidato agli Apostoli di predicare, il Santo, che ne aveva intuito solo il senso generale, dopo la Messa, pregò il sacerdote di spiegargli il passo. Il sacerdote glielo commentò punto per punto, e Francesco, udendo che i discepoli di Cristo non devono possedere né oro, né argento, né denaro, né portare bisaccia, né pane, né bastone per via, né avere calzari, né due tonache, ma soltanto predicare il Regno di Dio e la penitenza (Mt 10,7- 10; Mc 6,8-9; Lc 9,1-6), subito, esultante di Spirito Santo, esclamò: "Questo voglio, questo chiedo, questo bramo di fare con tutto il cuore!". S'affretta allora il padre santo, tutto pieno di gioia, a realizzare il salutare ammonimento; non sopporta indugio alcuno a mettere in pratica fedelmente quanto ha sentito: si scioglie dai piedi i calzari, abbandona il suo bastone, si accontenta di una sola tunica, sostituisce la sua cintura con una corda. Da quell'istante confeziona per sé una veste che riproduce l'immagine della croce, per tener lontane tutte le seduzioni del demonio; la fa ruvidissima, per crocifiggere la carne e tutti i suoi vizi (Gal 5,24) e peccati, e talmente povera e grossolana da rendere impossibile al mondo invidiargliela! Con altrettanta cura e devozione si impegnava a compiere gli altri insegnamenti uditi. Egli infatti non era mai stato un ascoltatore sordo del Vangelo, ma, affidando ad una encomiabile memoria tutto quello che ascoltava, cercava con ogni diligenza di eseguirlo alla lettera. (Tommaso da Celano, Vita prima IX, 22: FF 356-357)

Francesco d'Assisi, così come lo conosciamo, nasce ascoltando il Vangelo seduto sulle gambe della Chiesa cattolica. Egli tiene come riferimento fisso, nel suo cammino di vita e di fede, le parole e le opere del Signore Gesù Cristo. Infatti quando scrive la Regola, sottolinea con forza che gli è stata dettata da Cristo in persona e deve essere osservata “alla lettera, alla lettera, alla lettera! Senza commenti, senza commenti, senza commenti”. Quanto detto non ci sorprendere se pensiamo che l'incipit della Regola bollata ricorda come:

La Regola e vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità (Rb I,1: FF 75)
[…] affinché, sempre sudditi e soggetti ai piedi della medesima santa Chiesa, stabili nella fede cattolica, osserviamo la povertà e l’umiltà e il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo, che abbiamo fermamente promesso. (Rb XII,4: FF 109)

Questa proposta di Francesco di vivere secondo la forma del santo Vangelo doveva suonare come una novità all’epoca medievale: i monaci e i canonici, per definire la propria vita, non facevano riferimento al vangelo, ma al brano degli Atti degli apostoli: Ogni cosa era fra loro comune (At 4,32). Francesco va anche oltre l’ideale di vita apostolico che si proponevano i movimenti pauperistici del suo tempo: non fa riferimento né alla vita degli apostoli, né alla vita della prima comunità cristiana, ma a quello che Gesù ha detto e fatto sulla terra: egli vuole camminare dietro a Gesù, seguire le sue orme. Quindi, non si tratta, di qualche attività apostolica e sociale, ma di una vita modellata sul vangelo, vita che lo stesso Altissimo ha rivelato a Francesco.

Quando Francesco parla del Vangelo intende la persona viva di Gesù, ancora oggi parla nel Vangelo e si manifesta attraverso i Sacramenti, ma egli può essere fortemente cattolico perché era appassionatamente cristiano. Ricordiamo come l’incontro con il Crocifisso di san Damiano lo cambia interiormente:

Trascorsero pochi giorni. Mentre passava vicino alla chiesa di San Damiano, gli fu detto in spirito di entrarvi a pregare. Andatoci, prese a fare orazione fervidamente davanti a una immagine del Crocifisso, che gli parlò con pietà e benevolenza: “Francesco, non vedi che la mia casa sta crollando? Va' dunque e restaurala per me”. Tremante e stupefatto, rispose: “Lo farò volentieri, Signore”. Egli però aveva inteso che si trattasse di quella chiesa che, per la sua antichità, minacciava prossima rovina. Per quelle parole fu colmato di tanta gioia e inondato da tanta luce, che egli sentì nell'anima ch'era stato veramente il Cristo crocifisso a parlare con lui. […] Da quel momento il suo cuore fu ferito e si struggeva al ricordo della passione del Signore. Finché visse portò sempre nel suo cuore le stimmate del Signore Gesù, come si manifestò chiaramente più tardi quando quelle stimmate si riprodussero nel suo corpo, mirabilmente impresse e fatte conoscere in tutta evidenza. (3Comp 13-14: FF 1411-1412) 
Era davvero molto occupato con Gesù. Gesù portava sempre nel cuore, Gesù sulle labbra, Gesù nelle orecchie, Gesù negli occhi, Gesù nelle mani, Gesù in tutte le altre membra. (1Cel IX, 115: FF 522)

La sua aspirazione più alta, il suo desiderio dominante, la sua volontà più ferma era di osservare perfettamente e sempre il santo Vangelo e di seguire fedelmente con tutta la vigilanza, con tutto l’impegno, con tutto lo slancio dell’anima e il fervore del cuore l’insegnamento del Signore nostro Gesù Cristo e di imitarne le orme. Meditava continuamente le sue parole e con acutissima attenzione non ne perdeva mai di vista le opere. Ma soprattutto l’umiltà dell’incarnazione e la carità della passione aveva impresse così profondamente nella sua memoria, che difficilmente voleva pensare ad altro. Dobbiamo raccontare, richiamando devotamente alla memoria, quello che realizzò tre anni prima della sua gloriosa morte, a Greccio, il giorno del Natale di nostro Signore Gesù Cristo.
[…] E giunge il giorno della letizia, il tempo dell’esultanza!
[…] Il santo di Dio è lì estatico di fronte alla mangiatoia, lo spirito vibrante pieno di devota compunzione e pervaso di gaudio ineffabile. Poi viene celebrato sulla mangiatoia il solenne rito della messa e il sacerdote assapora una consolazione mai gustata prima. Francesco si veste da levita, perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora è un invito per tutti a pensare alla suprema ricompensa. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme. Spesso, quando voleva pronunciare Cristo con il nome di «Gesù», infervorato d’immenso amore, lo chiamava «il Bambino di Betlemme», e quel nome «Betlemme» lo pronunciava come il belato di una pecora, riempiendosi la bocca di voce e ancor più di tenero affetto. E ogni volta che diceva «Bambino di Betlemme» o «Gesù», passava la lingua sulle labbra, quasi a gustare e deglutire tutta la dolcezza di quella parola. (1Cel XXX, 84-86: FF 466-470)

A conclusione ci sembra opportuno evidenziare come all’origine dell’esperienza spirituale del Santo di Assisi non c’è una particolare sensibilità sociale, o il desiderio di riformare la Chiesa, o la volontà di combattere le eresie o di fondare un Ordine; semplicemente Francesco si converte totalmente a Dio e l’esperienza di Dio diventa l’asse 6 principale attorno al quale ruota tutta la sua vita. Prima di parlare di povertà, di fraternità o di minorità, che certamente sono caratteristiche essenziali della spiritualità francescana, bisogna mettere al primo posto l’incontro di Francesco con Dio. Francesco è un testimone affascinato, e per questo affascinante, del fatto che l’incontro con l’Altissimo è possibile e la sua fede in Dio è al centro del suo vivere e del suo pregare.

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