Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti. (Mc 19, 2-10)

Trasfigurati nello splendore della tua luce

Terminata la prima tappa della Quaresima con la prima settimana iniziata con i quaranta giorni di Gesù nel deserto, subito dopo il battesimo ricevuto da Giovanni il battezzatore, in questa seconda domenica il vangelo ci fa rivivere il momento centrale della Trasfigurazione. È  davvero un momento centrale, perché nella vita di Gesù e dei suoi discepoli segna un prima e un dopo. Subito dopo il primo annuncio della passione e le condizioni che Gesù detta alla folla per seguirlo, convoca Pietro, Giacomo e Giovanni a seguirlo in disparte su un alto monte dove poi si trasfigura davanti a loro. Il dopo la Trasfigurazione è la discesa a valle per proseguire verso Gerusalemme dove gli avvenimenti precipiteranno fino alla sua crocifissione.

Marco è sempre più sintetico rispetto a Matteo e al Luca, ma ci fornisce ugualmente delle indicazioni preziose per comprendere cosa questo racconto dice a noi nella nostra vita, nella situazione che viviamo. Questo a condizione di non pretendere una lettura che si fermi esclusivamente alla ricerca del dato oggettivo, non è mai questo l’intento del Vangelo. Piuttosto comprendere la “radice”, l’insegnamento centrale, di tutta la Parola di Dio che è l’amore di Dio verso noi tutti. Quello che a Pietro, Giacomo e Giovanni è stato dato di assistere non è un privilegio riservato a loro solamente.

La parola trasfigurazione traduce il termine greco metamorfosi, che significa la trasformazione di un essere in un altro di natura diversa. Una parola e un significato che possono impressionare. Molti di voi ricorderanno l’angoscioso racconto di Kafka che ha per titolo appunto Metamorfosi. Nel racconto evangelico non vi è nulla di angosciante, innanzitutto perché qui la metamorfosi non è la trasformazione in un mostro frutto dei propri incubi peggiori. E, in secondo luogo, perché la visione della trasfigurazione non è neppure il frutto di un sogno ma è qualcosa di sperimentabile. Anzi, che dobbiamo sperimentare. Lo spettacolo della Trasfigurazione è un modo differente di vedere ciò che forse è sempre sotto i nostri occhi, innanzi tutto la nostra vita, ma da una prospettiva differente.

Comprendiamo allora che quell’alto monte (il monte Tabor in realtà è una collinetta piuttosto bassa) è innanzitutto un luogo in disparte. Nella Bibbia e in tutte le religioni, i monti sono sempre visti come luogo privilegiato per l’incontro con Dio e la divinità. Quello che il Vangelo ci dice non è tanto l’altezza del dosso sul quale salire, ma l’importanza di trovare un luogo riservato, uno spazio e un tempo da riservare a lui. Per quanto possa sembrare difficile, perché presi da mille impegni, è necessario riuscire a sostare fisicamente e mentalmente.

Un particolare che in realtà Marco omette, ma che è ricordato da Luca, è che Gesù chiama i tre per recarsi sul monte a pregare.

La visione della Trasfigurazione, avviene in un atteggiamento di preghiera, che già, di per sé stesso, significa relazione con Dio. In disparte, in un luogo riservato, in un rapporto con Dio che è dato da un atteggiamento di preghiera, si manifesta in un bagliore la morphé (forma) divina di Gesù. Il racconto descrive le vesti di Gesù che diventano splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. La luce della Trasfigurazione non viene da fuori ma dall’interno, è il corpo di Gesù che diventa luminoso. È la sua umanità che nella Trasfigurazione, lascia intravedere la sua forma divina. Quella stessa umanità che se non è osservata con la giusta disposizione non lascia trapelare quella medesima luce.

Si diceva che la Trasfigurazione è qualcosa di sperimentabile anche da noi, in che senso. Non si tratta di vedere Gesù davanti a noi, con i nostri occhi, ma di riconoscere comunque, forse anche in un bagliore, la bellezza della sua presenza nella nostra vita. Sappiamo che Marco riporta nel suo vangelo la testimonianza di Pietro, allora dobbiamo dare credito alle parole riportate sulle labbra del primo degli apostoli «Rabbì, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende». Certamente è corretta l'interpretazione di questa esclamazione e richiesta come un tentativo estremo di non fare proseguire Gesù fino a Gerusalemme. Piace però anche pensare che quella esclamazione «è bello», sia semplicemente l’affermazione di chi ha saputo anche in un bagliore riconoscere tutta la bellezza della verità dinanzi a lui.

Forse, manifestazioni di Trasfigurazione, sono anche quelle che a volte, improvvisamente ci fanno sussultare il cuore riempiendolo di gioia per una felicità che fino ad un istante prima non pensavamo. Quando ci viene da esclamare che è bella la vita, è bello essere frate, è bello essere sposo o sposa, insegnante, medico, anche operaio o panettiere, nonna o nonno, è bella questa umanità nella quale Dio si manifesta con tutto il suo amore.

La Trasfigurazione, è un bagliore, un istante, più che un’intuizione che ci dà la forza di scendere a valle e proseguire il percorso fino alla Pasqua, oltre la quale sperimenteremo in pieno quella Risurrezione anticipata per un’istante.


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