Lectio IV Domenica di Avvento  (anno C)

A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?

Lectio IV Domenica di Avvento (anno C)

Con la quarta domenica d’Avvento, la liturgia ci fa entrare, non solo nell’ultima parte di questo tempo forte, ma nello specifico della preparazione alla nascita di Gesù. Infatti nelle prime tre domeniche, la nostra riflessione era orientata a quelle che sono riconosciute come l’ultima venuta di Cristo e la sua venuta intermedia. Cioè, la venuta di Cristo alla fine del mondo, o meglio al compimento della storia, e la sua venuta ogni giorno nella nostra vita. Ora (in realtà già dal 17 dicembre con le così dette Ferie d’Avvento) le letture ci parlano dell’approssimarsi della venuta storica del Messia. In particolare, i protagonisti “umani” di questa domenica e di tutto il tempo di Natale sono coloro che sanno accogliere: gli umili e i poveri, coloro che hanno occhi per vedere e riconoscere la visita di Dio. Fino all’Epifania saranno il modello per il credente di oggi, chiamato a vedere che Dio continua a visitare il suo popolo e a incarnarsi nella storia.

Il vangelo che ascolteremo ci parla della salvezza che si fa strada e avanza nella storia assumendo il linguaggio di un incontro. Le relazioni umane di due donne appartenenti al popolo di Israele, una donna sterile e una donna vergine sono immagini dell’umanità che diviene capace di generare la vita. Lì dove sembra impossibile ogni segno di vita, ogni speranza di futuro, l’intervento di Dio fa fiorire la gioia la danza, l’esultanza e il canto. Ma nel vangelo di Luca si parla anche dell'incontro di due bambini non ancora nati. Un incontro che fa danzare Giovanni il Battista, che già nel grembo materno è profeta e precursore.

Esaminiamo il brano

La visita di Maria ad Elisabetta è collegata con l'annunzio dell'angelo Gabriele, il quale, in segno dell’onnipotenza di Dio manifesta nella incarnazione del Figlio, menzionò il concepimento dell'anziana parente della Vergine (1,16-37).

v. 1

39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.

«In quei giorni...»: Questa espressione ha un duplice significato:

  1. Da una parte è tipica espressione veterotestamentaria che evoca gli ultimi tempi: anche in altre parti del suo vangelo, Luca sembra voler narrare qualcosa che ha a che fare con il tempo escatologico.
  2. Dall’altra, si tratta di un compimento in atto, al v. 26 Luca annotava: «Nel sesto mese».

 

 «in fretta»: Il verbo utilizzato, ουδή (spudḗ), si traduce con fretta ma anche con serietà, diligenza (serietà nel realizzare; promuovere o sforzarsi per qualsiasi cosa; interessarsi più seriamente). Quindi Maria non fa visita ad Elisabetta per sciogliere un dubbio o per verificare la verità ma mossa da gioia e premura. Non per curiosità ma perché crede a ciò che le è stato detto e dato. Maria corre là dove il progetto di Dio comincia a realizzarsi, per riconoscere ma anche per adorare, cantare. Maria ha appena ricevuto un segno, che non aveva chiesto; se è dato un segno, occorre andare a vederlo (come faranno anche i pastori in 2,15-16)

La pietà popolare immaginerà volentieri che Maria è partita pensando che la sua parente avesse bisogno di assistenza durante la gravidanza in età avanzata; Luca non lo dice. La fretta di Maria non è dovuta a una volontà di servizio, qualifica solo la sua obbedienza.

Da notare che Maria non va solo in Giudea, fa un movimento di salita dal basso verso le montagne e questo inizia con il verbo “alzarsi” che in greco ha connotazioni di risurrezione: ἀνίστημι (anístēmi), significa alzarsi ma anche risorgere dai morti.

«una città di Giuda»: il luogo dell'incontro è vagamente indicato come una città della Giudea montagnosa, tradizionalmente è individuato nel villaggio di Aìn Karìm, “la fontana generosa”, a circa 6 Km a sud-ovest di Gerusalemme e a circa 150 Km da Nazaret. Il viaggio richiedeva preparativi e una scorta; occorrevano infatti ben quattro giorni di cammino. Un viaggio decisamente impegnativo per una ragazza da sola. Luca non ci dice se Maria era accompagnata e da chi, neppure quale strada ha percorso. Tutto ciò no interessa a Luca che non fa un opera di cronista, ma di teologo. Queste domande appartengono a una mentalità agiografica non all’intento lucano.

v. 40-44

40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo.

Sembra che Luca occulti Zaccaria. È vero che in quella società le donne stavano con le donne e gli uomini con gli uomini, ma l’intento di Luca è altro. L’evangelista non intende raccontare solo l’incontro tra le due future madri, ma quello dei due bambini ancora in grembo. L’accento è posto chiaramente sui due bambini. È Giovanni che fa capire a sua madre chi le sta davanti, e Maria è benedetta in modo particolare a causa della benedizione che riposa su suo figlio

v. 41 - «sussultò»: σκιρτάω (skirtáō). I due bambini si riconoscono prima delle rispettive madri, che pur sì conoscevano bene. Il verbo skirtáō significa saltare - gioire, ma indica anche che il movimento è scomposto, non è fatto con ritmo o misura. Lo ritroviamo in:

  • Gen 25,22 indica il movimento di Esaù e Giacobbe in grembo a Rebecca, movimento che, non essendo ritmico ma disordinato, viene interpretato in senso sfavorevole.

22Ora i figli si urtavano (skirtáō) nel suo seno ed ella esclamò: «Se è così, che cosa mi sta accadendo?». Andò a consultare il Signore. 23Il Signore le rispose:
«Due nazioni sono nel tuo seno
e due popoli dal tuo grembo si divideranno;
un popolo sarà più forte dell'altro
e il maggiore servirà il più piccolo».

  • 2Sam 6,13-22, la danza di Davide davanti all'arca (proprio perché non si trattava di danza ma di movimenti disordinati, scomposti, viene rimproverata da Micol, figlia di Saul e moglie di David.

«fu piena di Spirito Santo»: la Parola Vivente, che Maria porta nel suo seno, come primo effetto comunica lo Spirito Santo ad Elisabetta, che nello Spirito riconosce in Maria la Madre del suo Signore.

È la gioia segno dello Spirito. Come si fa a capire se il Signore mi visita? C’è qualcosa in me nel più profondo che comincia a sussultare di gioia. E qui è il bimbo stesso, quel bambino che Elisabetta ha tenuto nascosto per cinque mesi (1,24) è l’attesa che finalmente riconosce l’Atteso.

v. 42 - «esclamò a gran voce»: In realtà è ben più che esclamare a gran voce. Il verbo utilizzato αφωνέω (anaphōnéō) indica un urlo, un grido causato da una forte emozione, senza precisarne la natura. Luca ama le espressioni energiche nel rendere le emozioni aggiungendo l’aggettivo grande (μέγας, mega) come qui.

«Benedetta tu... benedetto il frutto...»: non benedetta ma benedettissima, è un superlativo. Questa formula con la quale Maria è esaltata più d'ogni altra donna, è una eco degli elogi rivolti alle due celebri eroine del popolo di Dio Giaele (Cfr. Gdc 5,24) e Giuditta (Cfr. Gdt 13,18), ma assume un significato inedito perché unita alla benedizione del «frutto del grembo» di Maria.

v. 43 «A che debbo...»: Al grido di benedizione per il dono ricevuto, si accompagna il senso di meraviglia: come mai a me questa grazia? Molti autori mettono in evidenza il parallelismo verbale che intercorre tra il racconto della visitazione e il trasporto dell’arca a Gerusalemme al tempo di Davide.

Mille anni prima dell'incontro di Ain Karim, il re Davide al culmine della sua potenza aveva voluto fare di Gerusalemme la nuova capitale della nazione santa riunita sotto il suo scettro e per prima cosa si preoccupò di trasportarvi l'Arca Santa, trono di Dio, che si trovava su una collina a circa 15 Km da Gerusalemme:

  1. L'arca sale a Gerusalemme (2 Sam 6,2) Maria ad una città di Giudea (Lc 1,39);
  2. grida di gioia ed acclamazioni accompagnano l'arca (2 Sam 6,15; 1 Cr 15,28), il grido festoso di Elisabetta accoglie Maria (Lc 1,42);
  3. Davide saltava davanti all'arca (2 Sam 6,16), Giovanni salta nel grembo di Elisabetta (Lc 1,44);
  4. infine Davide si chiede, dopo un tragico incidente, se fosse degno di accogliere il trono di Dio nella sua casa e la lasciò in casa di un pio filisteo per «tre mesi», durante i quali il Signore benedisse quella casa (2 Sam 6,9-11; Cfr. Lc 1,43.56).

Maria è ora l'arca che reca la presenza salvifica del Signore in mezzo al suo popolo.

2 Sam

Lc

2 David si alzò e partì con tutta la sua gente da Baalà di Giuda, per far salire di là l'arca di Dio, sulla quale si proclama il nome del Signore degli eserciti, che siede sui cherubini…

39Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda…

David fece salire l’arca di Dio dalla casa di Obed-Edom nella città di David… David saltellava con tutte le sue forze davanti al Signore…

[Dopo diverse peripezie in cui uno di quelli che accompagnavano l’arca è fulminato dall’ira di Dio] David ebbe paura del Signore e disse: “come potrà venire da me l’arca del Signore?”. David non volle traferire l’arca… ma la fece portare da Obed-Edom di Gat.

41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?

L’arca rimase tre mesi in casa di Obed-Edom di Gat. Il Signore benedisse Obed-Edom.
(2Sam 6,2.12.14.9-11)

56Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
(Lc 1,39.41-43.56)

v. 44 - «appena la voce... il bambino ha esultato...»: Il sussulto (skirtáō) che permette il riconoscimento è narrato due volte: prima come fatto e poi come conoscenza del fatto. Non basta il fatto della visita del Signore, bisogna riconoscerla; lui infatti ci visita sempre anche se noi non ce ne accorgiamo, per questo non lo amiamo! I padri dicevano che il gigante dei peccati è l'oblio e richiamavano continuamente all'ascolto attento del cuore.

È decisamente più importante di ogni cosa riconoscere la visita del Signore. Elisabetta avrebbe potuto sentire il bambino saltare ma non rendersi conto di cosa significava. Forse anche a noi capitano cose anche molto profonde, ma o non ce ne accorgiamo o non gli diamo importanza e non riconosciamo i significato.

Come facciamo a riconoscere la visita del Signore? Perché ci visita. Poteva essere benissimo che saltò il bimbo nel grembo di Elisabetta e Elisabetta avrebbe potuto accorgersi di qualcosa ma senza sapere cosa volesse dire. Come a noi capitano tante cose nella vita, molto profonde, ma non sappiamo che cosa dire o addirittura le dimentichiamo e allora è importante che ci sia il fatto e la capacità di leggere il fatto. È il ricordo del fatto. Elisabetta capisce che quando è arrivata Maria il bimbo ha danzato di gioia. Perché? Ha capito perché, perché ha incontrato il suo Signore, perché questa gioia è il segno del Signore. Il che vuol dire una cosa molto semplice.

Il segno indicatore che ci fa comprendere di essere visitati dal Signore, se la parola che ascoltiamo è da Dio oppure no, è l’esultanza interiore. Ma questa gioia che viene dal Signore è nel centro profondo di noi. Se siamo “dispersi” da tante cose, rischiamo di non accorgerci.

v. 45

45E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto».

L’episodio termina con l’acclamazione di Elisabetta che potrebbe essere tradotta in un alto modo: «Beata colei che ha creduto, perché vi sarà un compimento a quanto le è stato detto da parte del Signore». Grammaticalmente sono corrette entrambe le traduzioni. Il problema è di sapere se Elisabetta parla di fede assoluta (Beta colei che ha creduto, perché…) o se si riferisce a un atto particolare di fede da parte di Maria (“... ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto). Per rispondere alla domanda è importante notare il parallelismo esistente tra la beatitudine pronunciata da Elisabetta e quelle che Gesù stesso proclamerà più tardi: 

Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio.
Beati voi, che ora avete fame, perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete, perché riderete. (6, 20-21)

La struttura di queste beatitudini comprende tre membri: 

  • la dichiarazione di beatitudine;
  • la situazione attuale di chi è dichiarato beato;
  • l’annuncio di una promessa.

Possiamo riconoscere questa struttura anche nella dichiarazione di Elisabetta:

Beata
colei che ha creduto
perché vi sarà un compimento a quanto le è stato detto da parte del Signore

Allora Maria non solo ha creduto che le parole del Signore avrebbero trovato compimento, essa ha creduto in assoluto, e diventa l’immagine del credente, del discepolo di Gesù che è beato perché sta dietro a lui, discepolo al quale viene fatta la grande promessa: tutte le parole del Signore si compiranno.

«Beata colei che ha creduto...»: Elisabetta chiama makaría = beata Maria perché ha creduto nell'adempimento della parola del Signore che promette l'assolutamente impossibile. Questa è la prima beatitudine dell’evangelo e sarà su questa linea anche l'ultima di esso, in Gv 20,29: «beati quelli che, pur non avendo visto, crederanno».

La maledizione è quella di non credere alla parola di Dio

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