II Domenica di Quaresima (Anno C)

Questi è il Figlio mio, l’eletto: ascoltatelo!

Lectio divina sulla Parola II Domenica di Quaresima (Anno C)

Il vangelo di questa II Domenica di Quaresima rappresenta una sosta, un momento favorevole per pregustare i frutti di questo nostro itinerario che ci porta verso la Pasqua di nostro Signore Gesù Cristo; la Trasfigurazione rappresenta un’anticipazione, ovvero un’opportunità di vedere, dietro i tratti del Servo sofferente, le nascoste sembianze del Figlio glorioso alla destra del Padre.

All’interno del vangelo di Luca questo brano si colloca al termine del ministero in Galilea; ormai per il Maestro si prospetta chiaramente Gerusalemme e la croce. Gesù, proprio mentre offre ai suoi discepoli un segno della sua gloria, ne parla con Mosè ed Elia in termini di esodo, con un chiaro riferimento alla sua assunzione (cfr. 9,51 s.).

Poiché si parla anche di gloria e Gesù viene trasfigurato davanti ai suoi discepoli, è chiaro che Lc vuole offrire un’anticipazione ed un preludio di quella, che sarà definitiva, del Cristo risorto. Si può dunque pensare che l’opera di Lc sia costruita su tre grandi pilastri (che sono poi altrettante teofanie): il Battesimo di Gesù, la sua Trasfigurazione e la Risurrezione-Pentecoste.

Per cogliere la densità teologica di questa pagina, è indispensabile ricercare gli influssi delle teofanie dell’A.T. e dell’apocalittica giudaica, ricche di immagini e di espressioni tipologiche, che si rivelano estremamente illuminanti per contemplare la definitiva realizzazione in Cristo. Ecco quali sono gli elementi comuni alle teofanie dei due Testamenti:

  • Il monte: qui il riferimento d’obbligo è al Monte Sinai sul quale il Signore ha manifestato la sua gloria a Mosè (Es 13,20 s.; 33,9 s.; 34,29). Anche la presenza di Mosè insieme ad Elia sta a dimostrare la validità del riferimento, oltre all’accenno che si fa alle tende e alla nube.
  • Mosè ed Elia: Sono due personaggi attorno ai quali gravita gran parte della storia dell’A.T. e che svolgono pure una funzione di primo piano nell’apocalittica giudaica. Qui essi non solo rappresentano i più grandi e misteriosi profeti dell’A.T. (è il significato della loro presenza, che rende testimonianza a Gesù), ma svelano a noi il significato profondo dell’evento (è la funzione che ha il loro discorso con Gesù, ed è solo Luca a riferircelo).
  • Gloria: è un attributo messianico caratteristico; il futuro Messia, infatti, secondo l’A.T. sarebbe stato partecipe della gloria di Dio e per questo doveva apparire nella gloria (cfr. Dn 7,13).
  • Il tema del Messia sofferente, di cui si occupa il deutero-Isaia e che fa pure parte delle concezioni escatologiche del giudaismo, riecheggia anche qui nella designazione di Gesù come l’eletto di Dio (cfr. 23,35 ed Is 42,1), nella qualificazione di Gesù come il profeta (cfr. Dt 18,15) il cui destino è proprio quello di non esser ascoltato (cfr. At 3,22-23), oltre che nel colloquio tra Gesù e Mosè nel quale si parla appunto delle sofferenze che attendono Gesù.
  • Il tema del riposo (implicito nella frase di Pietro) sembra richiamare il tema biblico del riposo escatologico, che riappare in altre pagine evangeliche (Mt 11,28) e che diventa un tema fondamentale nella Lettera agli Ebrei.
  • La tenda, che Pietro propone di preparare, sarebbe un’allusione alla tenda delle nozze messianiche o alle tende degli Ebrei durante la loro permanenza nel deserto ai tempi dell’Esodo.
    La nube nell’A.T. è uno dei segni della presenza di Dio (cfr. Es 40) e perciò un elemento immancabile nelle teofanie dell’A.T. come pure nella visione messianica del giudaismo.
  • La voce che viene dal cielo, sia come fatto (sta ad indicare l’intervento divino e la massima autorevolezza di ciò che viene detto), sia nel contenuto (perché qui Gesù viene identificato sia con il Figlio regale del Sal 2,7, sia con il Servo sofferente di Is 42,1, sia infine con il profeta simile a Mosè di Dt 18,15).
  • Infine non bisogna dimenticare che la nuova realtà, personificata da Gesù, in relazione ai prototipi presenti nell’A.T. e nel culto giudaico, rappresenta non una semplice riproduzione né una spiritualizzazione, ma una seconda creazione nel quadro però delle antiche categorie e degli antichi motivi.

Ci introduciamo nell’ascolto e meditazione del Vangelo con la preghiera di Colletta:

O Padre,
che hai fatto risplendere la tua gloria
sul volto del tuo Figlio in preghiera,
donaci un cuore docile alla sua parola
perché possiamo seguirlo sulla via della croce
ed essere trasfigurati a immagine del suo corpo glorioso.

Adesso ascoltiamo con cuore docile il brano di vangelo, scegliendo di seguire Gesù che si reca sul monte per pregare ed essere trasfigurati con lui, perché attraverso la via della croce possiamo giungere alla gloria della risurrezione.


In quel tempo, 28 Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. 29 Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. 30 Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa, 31 apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme.
32 Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.
33 Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.
34 Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. 35 E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».
36 Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Prima del viaggio a Gerusalemme, dove si concluderà tragicamente la missione di Gesù, Lc, come gli altri due sinottici, riporta l’esperienza anticipata della gloria. La trasfigurazione illumina la salita del Figlio dell’uomo a Gerusalemme, cammino scandito da tre annunci della passione e della risurrezione.

salì sul monte a pregare

Sappiamo con quale insistenza Gesù viene colto da Lc in questo atteggiamento orante (3,21; 5,16; 6,12; 9,18.28-29; 10,21; 11,1; 22,32.40-46; 23,34.46). Questa preghiera è il luogo del suo incontro con il Padre.

Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante.

Invece di dire e fu trasfigurato davanti a loro, come hanno fatto Mc e Mt, Lc preferisce insistere sulla preghiera di Gesù, situando il fatto in rapporto alla vita interiore di Gesù. È a questo livello che si decide in primo luogo la missione di Gesù. Lc tralascia i paragoni e le immagini così concrete e popolari di Mc e Mt, forse per lo stesso per il quale prima ha tralasciato il verbo metamorpheô, che rischiava di suggerire un riferimento alle metamorfosi della mitologia pagana; egli parlerà piuttosto della gloria che Gesù possiede (v. 32) prima della sua risurrezione e che gli attribuisce nel suo ritorno alla fine dei tempi (9,26; 21,27), ed anche a Pasqua (24,26).

Come nelle apocalissi ebraiche, queste vesti splendenti sono segni della gloria celeste, concessa agli eletti i quali diventano simili agli angeli (cfr. Mt 28,3; Ap 3,4; 4,4). Questo episodio misterioso ha unicamente un significato nella prospettiva della gloriosa risurrezione di Cristo, di cui essa è, chiaramente un’anticipazione.

Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elìa

Due uomini: è quanto Lc premette a Mosè ed Elia. La stessa espressione ritorna a proposito dei due angeli della risurrezione (24,4) e dei due angeli dell’ascensione (At 1,10). Mosè ha visto Dio ed è stato mediatore tra il Signore e Israele, al quale ha consegnato i comandamenti e il codice dell’Alleanza (Es 19-24). Di Mosè Lc parla a lungo anche in At 7,20-44, dove Stefano dimostra che il popolo eletto si oppose alle parole di vita che Mosè stesso proponeva. Qui Lc vuol dire chiaramente che Gesù è il nuovo Mosè, come più tardi dirà che Gesù è “profeta potente in opere e in parole” (24,19); Gesù è l’eletto e l’inviato da Dio al quale l’antico Mosè rende testimonianza.

La presenza di Elia riveste anch’essa una grande importanza. Anche se Gesù non è Elia redivivo (cfr. 9,8.19), tuttavia egli partecipa della gloria di colui che, essendo misteriosamente scomparso, doveva ritornare. Lc vuol dire che Gesù personifica il carattere profetico di Elia e il suo potere taumaturgico, specialmente nel far risorgere i morti.

La presenza simultanea di Mosè ed Elia intensifica ancora di più la portata teologica del loro discorso: come la tradizione giudaica li ha associati l’uno all’altro indissolubilmente (ambedue profeti, ambedue con una missione speciale, ambedue legati ad un monte: il Sinai e il Carmelo, ambedue rifiutati dal loro popolo, ambedue scomparsi miracolosamente), così Lc (e la tradizione cristiana per mezzo di lui) li considera come tipi di Gesù Messia.

e parlavano del suo esodo,

Questo termine, che allude certamente a tutto il ministero pasquale di Gesù, alla sua opera redentiva (comprendente passione, morte, risurrezione ed ascensione di Gesù fino al dono dello Spirito Santo mandatoci dal cielo) rafforza l’ipotesi di un rapporto tipologico tra Gesù e Mosè: Gesù è il nuovo Mosè perché gode di un rapporto speciale con Dio, perché porta una nuova Legge, perché dà inizio ad un nuovo popolo e perché inaugura un nuovo esodo, una nuova maniera di concepire e di partecipare la salvezza (come gloria di Dio e liberazione dell’uomo): quella di passare (e far passare) attraverso la morte per arrivare ad una nuova vita, quella di passare (e far passare) attraverso la persecuzione per arrivare alla gloria.

Alla luce di 9,51, di At 1,22 e 13,23 possiamo addirittura distinguere, sull’unico arco della vita di Gesù, un’entrata (eisodos) ed un’uscita (exodos), che stanno ad indicare esattamente l’inizio (il battesimo di Giovanni Battista) e la fine (per alcuni la morte-risurrezione, per altri l’ascensione) del ministero pubblico di Gesù. Una cosa è certa: una lettura della vita di Gesù alla luce dell’Esodo, prospettata proprio alla vigilia del grande viaggio (9,51-18,14) porterà esattamente Gesù verso la sua Pasqua, verso Gerusalemme, è estremamente illuminante per cogliere la dottrina cristologica del terzo vangelo e per concepire l’ideale della vita cristiana in modo conseguente. Questo nuovo esodo permetterà ai suoi discepoli di accedere a Dio con lui.

che stava per compiersi a Gerusalemme.

Questo accenno alla città santa, che costituisce l’epicentro attorno al quale gravita tutta l’opera di Lc, crea una forte tensione, vuole cioè sottolineare che Cristo viene a realizzare le antiche profezie (cfr. 13,33). Per Lc Gerusalemme è non solo teatro della sua passione e del suo trionfo, ma anche la meta verso cui tende tutta la sua vita: a Gerusalemme si svolgono in gran parte gli episodi della sua nascita-infanzia; a Gerusalemme Gesù dà inizio alle sue vittorie su Satana (4,13); verso Gerusalemme tende tutto il suo grande viaggio (9,51.53; 13,22.33-34; 17,11; 18,31; 19,11.28); da Gerusalemme, una volta arrivato (19,45) Gesù non ne esce più (se non per passare la notte sul monte degli Ulivi) anche da risorto (agli stessi apostoli egli comanda di non lasciare Gerusalemme, ma di aspettarvi il dono dello Spirito: 24,49); da Gerusalemme, infine, prenderà le mosse il viaggio missionario di Pietro e Paolo, cioè la storia della Chiesa nascente e confessante.

Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui.

Emerge un certo parallelismo tra questa pagina e quella dell’agonia di Gesù al Getsemani, non solo per l’accenno alla preghiera, ma anche per l’esplicito riferimento alla debolezza dei discepoli, che non comprendono, non pregano e non riescono a vincere l’appesantimento del sonno (cfr. 22,39-46) in questi momenti così decisivi, sia per la rivelazione che stanno per ricevere sia per la tentazione che sta per arrivare. Il racconto della Trasfigurazione, come quello dell’agonia di Gesù, contiene anche un invito per i discepoli alla preghiera e alla vigilanza.

Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elìa». Egli non sapeva quello che diceva.

Pietro, a nome anche degli altri, non riesce a comprendere. Finisce coll’equiparare Gesù a Mosè e ad Elia: non si rende conto di quello che sta per accadere. È ancora grande la loro ignoranza. La voce che si farà presto sentire, oltre alla nube che subito apparirà, toglierà ogni residuo di oscurità sull’evento. Facciamo tre capanne: possibile allusione alla festa delle capanne (Es 23,16; Lv 23,27-34; Dt 16,13).

Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura.

La nube è un elemento caratteristico delle teofanie nell’A.T. (Es 16,10; 19,9; 24,15-16; Lv 16,2; Nm 11,25). Qui è un modo per esprimere la presenza efficace di Dio presso il suo popolo, allo stesso modo delle sue manifestazioni al tempo dell’Esodo (Es 40,35; Nm 9,18.22; 10,34). Allora, specifica Lc, gli apostoli ebbero paura: incominciano a comprendere! La presenza di Dio li coinvolge. Vengono resi partecipi del mistero che accade. Non è chiaro se, secondo Lc, furono solo Gesù, Mosè ed Elia ad entrare nella nube, oppure anche gli apostoli presenti.

E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!».

Al Battesimo, la voce del cielo aveva presentato Gesù come il Figlio (cfr. Sal 2,7), il Servo (Is 42,1); alla Trasfigurazione essa lo presenta innanzitutto come il Profeta che tutto il popolo deve ascoltare (cfr. At 3,22 che cita Dt 18,15). Prima era rivolta a Gesù; ora ai discepoli e, tramite loro, alle folle. Mentre per quanto concerne il termine eletto, proviene probabilmente da Is 49,7 e si trova negli scritti apocalittici del giudaismo.

Qui i termini Figlio ed eletto vanno interpretati in ordine alla missione di Gesù, che è essenzialmente profetica. La teofania sfocia quindi in una rivelazione e questa è a servizio di una missione.

Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

Dell’ordine di Gesù di tacere Lc conserva solo il fatto che gli apostoli osservarono il segreto. Essi hanno visto ed hanno creduto, ma non è ancora venuto per loro il tempo della testimonianza. Su questo fatto, come sugli altri della vita terrena di Gesù, ritornerà la predicazione e la qualificata testimonianza degli apostoli (cfr. At 1,22 s.; 2,21 s.; 10,34 s.; 1Pt 1,21; 4,14; 5,4; 2Cor 4,17). Secondo la sua abitudine Lc distingue nettamente il tempo della missione terrena di Gesù dal tempo successivo alla Pasqua, quando gli apostoli proclameranno il suo mistero. Lc non riporta la conversazione dei discepoli con Gesù a proposito dell’identificazione di Giovanni il Battista con Elia (Mt 17,9-13; Mc 9,9-13). Per lui Elia è piuttosto il tipo di Gesù (cfr. 1,17).

Comunque si spieghi l’origine di questo antico racconto, sorto nell’ambito della chiesa palestinese sulle testimonianze di Pietro, Giacomo e Giovanni, si può accogliere il suo messaggio con gratitudine perché è sempre attuale. Non sono le esperienze spettacolari ed esoteriche quelle che sostengono il cammino quotidiano dei discepoli o dei credenti, ma la parola di Gesù. La chiesa vive dopo la risurrezione, ma non è risorta. Uno solo è risorto, uno solo è entrato nella gloria: Gesù. Gli altri sono ancora sulla via della croce; un silenzio, sostenuto dalla speranza, è preferibile a illusioni trionfalistiche.

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