L'Icona della Natività

“Come narrare questo grande mistero?
L’incorporeo prende un corpo;
il verbo si è caricato di una carne;
l’invisibile si fa vedere;
l’immateriale si lascia toccare;
Colui che è senza inizio inizia;
e il figlio di Dio diventa il figlio dell’uomo”.

Icona del Natale, originale del maestro Dionisi, XVI sec.

Riproduzione dell’icona del Natale

L’iconografia della Natività ebbe origini antichissime. Lo schema fondamentale si è presto stabilizzato passando da una rappresentazione allegorica ed essenziale a quella composizione articolata che la tradizione fedelmente ha trasmesso fino ad oggi. Nello schema compare il Bambino, la Madre di Dio, Giuseppe, la stella, gli angeli, gli animali, i pastori e i Magi. Lungo i secoli e nelle varie regioni del mondo cristiano si possono trovare i personaggi principali diversamente collocati, ma lo schema generale risulta costante.

D’altra parte nel Concilio Niceno II (quello che ha ristabilito il culto delle immagini contro le tesi iconoclaste), si era chiaramente affermato che “l’arte appartiene al pittore, ma la maniera in cui ha da essere disposta è di pertinenza dei venerabili Padri”. Questo non ha impedito, pur nella fedeltà allo schema, una certa creatività aggiungendo dei particolari attinti da fonti svariate, spesso legate a tradizioni locali e agli scritti apocrifi ritenuti più attendibili. Noteremo come l’ispirazione di alcune scene e la presenza di certi personaggi non derivano dai racconti evangelici canonici, ma dagli Apocrifi. Questo perché gli Apocrifi hanno rivestito il ruolo di libri di pietà, molte volte letti e commentati anche dai padri.

L’iconografia, come anche l’innografia, ha attinto a questi racconti apocrifi nella misura in cui il dogma non venisse intaccato, ma arricchito e corredato da espressioni simboliche.

L’icona che prenderemo in esame e della quale cercheremo di dire qualcosa quasi in punta di piedi è del maestro Dionisi, del secolo XIV.

In questa icona della Natività vediamo varie scene appartenenti a momenti differenti. Davanti a noi si presenta il Mistero del Natale nella sua unità. Partendo dall’alto possiamo quasi dividere l’icona in tre parti uguali in senso orizzontale. A unificare tutta la scena è la montagna a balze che occupa lo sfondo e che si divide in tre punte.

Nella parte in alto una semisfera rappresenta il mondo celeste, il cielo, da cui scende la stella. Un lungo raggio tripartito emana dalla stella a indicare direttamente la grotta, esso collega inoltre la stella al mondo celeste.

Sempre in alto a destra e a sinistra, notiamo gli angeli che adempiono ad una doppia funzione: glorificano Dio e portano agli uomini il messaggio della buona novella. L’icona esprime questo doppio ruolo raffigurando alcuni angeli girati verso l’alto, verso il cielo, cioè verso Dio. Cantano: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama” (Lc. 2,14). Uno è rivolto verso gli uomini, verso i pastori e dà loro l’annuncio straordinario: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2,10-12)

Nella parte centrale una grotta si apre e mostra le viscere della montagna. Qui convergono tutti i dettagli dell’icona, qui vediamo l’elemento principale: il Bambino in fasce, sdraiato nella mangiatoia sul fondo scuro della grotta nella quale è nato. Un’omelia attribuita a san Gregorio di Nissa paragona la natività nella grotta con la luce spirituale apparsa nell’ombra della morte che avvolge l’umanità. Nell’icona, l’oscura cavità della grotta rappresenta il mondo di quaggiù, colpito dal peccato per colpa dell’uomo, nel quale sorge “il Sole di giustizia”.

È l’evangelista Luca a parlare della mangiatoia e delle fasce: “Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia…” (Lc 2,7). E, poco dopo, la mangiatoia e le fasce sono indicate come il segno offerto dall’angelo ai pastori, segno attraverso il quale essi avrebbero riconosciuto il loro Salvatore: “Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia” (Lc 2,10-12).

Nell’icona i pastori sono a destra della grotta rappresentati nel momento in cui pieni di timore e stupore ricevono l’annuncio dall’angelo.

Ma ad osservare bene la mangiatoia assomiglia troppo ad un sepolcro, anche il bambino, è piccolo ma ha già le proporzioni di un adulto. Le fasce…sono le fasce che avvolgeranno Gesù deposto dalla croce e adagiato nel sepolcro. La grotta, la mangiatoia, le fasce sono altrettanti segni della kenosi della Divinità, della sua umiliazione, dell’estremo abbassarsi di Colui che “invisibile nella sua divinità diventa visibile a causa dell’uomo, nasce in una grotta e si lascia avvolgere in fasce”, prefigurando la sua morte, la sua tomba e le bende funebri.

Nella grotta accanto al Signore vediamo l’asino e il bue. Sebbene i vangeli non ne parlano li ritroviamo ai lati del Bambino in tutte le rappresentazioni della Natività. La posizione che essi occupano, al centro dell’icona, indica l’importanza che la Chiesa attribuisce a questo elemento, che sembra alludere al compimento della profezia di Isaia: “il bue conosce il suo proprietario e l’asino la greppia del suo padrone, ma Israele non conosce, il mio popolo non comprende” (Is 1,3). Rappresentando il bue e l’asino l’icona evoca questa profezia e ci richiama, in quanto nuovo popolo d’Israele, alla conoscenza e alla comprensione del mistero del volere e dell’operare Divino.

Guardando un’icona della Natività del Signore colpisce subito sua Madre Maria. Nella persona della Vergine, l’umanità caduta dà il suo consenso alla propria salvezza attraverso l’incarnazione divina. L’icona della Natività sottolinea questo ruolo della Madre di Dio ponendola in evidenza tutta particolare attraverso la sua posizione centrale e spesso per mezzo delle sue dimensioni. In molte icone è più grande degli altri personaggi. La Madre di Dio giace su un cuscino rosso fuoco, è avvolta in un manto porpora che la ricopre dalla testa ai piedi. La dignità della Madre di Dio è sottolineata dai ricami in oro e soprattutto dalle tre stelle sul capo e sulle spalle. Esse rappresentano il segno della santificazione operata in lei dalla Trinità, perché fosse genitrice di Dio: “Vergine prima del parto, Vergine nel parto, Vergine dopo il parto, sola sempre Vergine, nello spirito, nell’anima e nel corpo”, ha scritto san Giovanni Damasceno.

La Vergine posta nel cuore della montagna, richiama il roveto ardente del Sinai: come il roveto rimase intatto a contatto delle fiamme, così il parto non ha intaccato la sua verginità.

Maria è raffigurata sdraiata, come una donna che abbia appena dato alla luce un bimbo. Così nonostante l’assenza di qualsiasi sofferenza, ella esprime la piena realtà della natura umana di Gesù. Ha lo sguardo perduto nella contemplazione degli avvenimenti che stanno svolgendosi. “Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19).

A sinistra della grotta e di Maria si vedono i Magi guidati dalla stella, messaggera dell’aldilà, la quale annuncia che “sulla terra è nato colui che appartiene al cielo”. Essa è quella luce che, secondo san Leone Magno, era nascosta agli ebrei ma si rivelò ai gentili. La Chiesa identifica nei pastori i primi figli di Israele venuti ad adorare il Bambino, primizia della Chiesa degli ebrei, e nei magi le primizie di tutte le nazioni, cioè la Chiesa dei gentili. A volte sono raffigurati a cavallo, altre volte a piedi, come nella nostra icona, portando i doni. I magi hanno tutti un’età diversa: il primo, che li guida è anziano; quello al centro è adulto; il terzo è il più giovane. Rappresentano i diversi periodi della vita quasi a ricordare che gli uomini di tutte le nazioni e di tutte le età sono chiamati a conoscere e ad adorare il Figlio di Dio.

Nella parte in basso vediamo due scene: sono raffigurati gli aspetti terreni di questo evento.

In basso a destra, la sua realtà concreta: due donne fanno il bagno al Bambino appena nato. Questa scena si basa sulla tradizione trasmessa da due testi Apocrifi: il Vangelo dello Pseudo-Matteo e il Protovangelo di Giacomo. Sono le due anziane e sagge donne che Giuseppe aveva condotto a Maria per aiutarla. Questa scena di vita quotidiana mostra chiaramente che questo Bambino, come qualsiasi altro neonato, è sottoposto alle esigenze della natura umana. Il bagno del Bambino acquista però un ulteriore significato, è prefigurazione del Battesimo e di conseguenza la vasca assume la forma di un fonte battesimale. L’acqua nella vasca, di un blu scuro, anticipa già l’acqua vorticosa del fiume Giordano nella quale si immergerà Gesù per ricevere il battesimo da Giovanni Battista, come si può osservare nell’icona del Battesimo.

              In basso a sinistra, vediamo san Giuseppe appartato, avvolto nel mantello, seduto un po’ ricurvo, con la testa appoggiata su una mano, in atteggiamento pensoso nel suo umanissimo dubbio davanti al mistero. Di fronte a Giuseppe la tentazione del dubbio si personalizza in quel personaggio ambiguo: un pastore gobbo, ricoperto di pelli, con un bastone spezzato in mano. È il tentatore che insinua e alimenta il dubbio in Giuseppe: “Com’è possibile che una Vergine possa concepire un figlio? Come questo bastone non può produrre fronde, così una vergine non può partorire! Come è possibile che la grandezza di Dio si sia nascosta in questa grotta?” Il bastone su cui si appoggia il tentatore è sottile, sembra un’esile canna. Non può reggere il peso del pastore che vi si appoggia, infatti si spezza. Le argomentazioni avanzate dal tentatore non reggono di fronte al giusto Giuseppe e al progetto di salvezza di Dio proprio come il bastone non regge il peso del pastore/tentatore. A confutare tali ragionamenti, tra i due viene raffigurato un alberello, che rappresenta l’adempimento delle promesse fatte ad Abramo e alla sua discendenza, e infatti Giuseppe è l’ultimo anello della genealogia del Messia: “Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici” (Is 11,1).

«Cosa ti offriremo, o Cristo, per esserti mostrato sulla terra come uomo?
Ognuna delle creature da te create ti offre infatti la sua riconoscenza:
Gli Angeli, il canto;
I cieli, la stella;
I Magi, i doni;
I pastori, la loro ammirazione;
La terra, una grotta;
Il deserto, un presepe;
ma noi,
una Madre Vergine!»
(dalla liturgia bizantina)

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