Giovanni, così si chiamava

Daniele Uccellari

Mia mamma non volle sentire ragioni. Dovevamo andare, dovevamo andare al fiume per ascoltare quell’uomo. Era chiaro. Io non ne avevo per niente voglia e si vedeva. Stavo studiando la Torah ed ero arrivato a metà del terzo rotolo. Volevo capire cosa era successo al popolo d’Israele una volta entrato nella Terra Promessa. Mia mamma non volle ascoltarmi e mi trascinò con lei giù al fiume. La nostra casa era distante rispetto alla città, ma comodamente vicina al Giordano.
Chiesi più volte a mia madre chi fosse costui. Lei mi disse che non lo sapeva, che nessuno lo sapeva ma erano mesi che voleva vederlo e questa volta non si sarebbe lasciata sfuggire l’occasione. Arrivammo al fiume e ci confondemmo tra la folla. C’era tantissima gente. Non ne avevo mai vista così tanta tutta insieme.
In un primo momento non riuscimmo a vederlo. Erano ammucchiati tutti sul greto del fiume, come le pecore che pascolano nelle oasi. Mi sporsi più volte, in punta di piedi, per cercare di vedere qualcosa, ma riuscii a scorgere solo le teste delle persone davanti a me. Non riuscivo a vedere niente, per cui mi concentrai su quello che riuscivo a sentire. Un giovane barbuto alla mia destra stava discutendo con l’amico se Giovanni fosse un profeta. Giovanni. Così si chiamava il predicatore.
Allungai le orecchie e cercai di catturare più parole possibili. Sul serio? Questo Giovanni, un profeta? I profeti non esistevano più da tanto tempo, l’ultimo era stato Michea, come mi aveva raccontato mia nonna. Possibile che fossero tornati? L’amico del barbuto, un uomo pallido e allungato, si voltò verso quest’ultimo e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio. L’uomo barbuto sgranò gli occhi e si sporse verso la ragazza davanti a sé, scuotendole una spalla.
Quando la ragazza si voltò, riconobbi mia cugina. Una lontana cugina, in realtà. Mi salutò e io dovetti ricambiare il saluto. Era tantissimo tempo che non la vedevo. In realtà, non avrei voluto farmi vedere in quel posto, in mezzo a quella folla in delirio. Un po’ mi vergognavo di credere a quelle storie. Dentro di me, però, ero curioso di sapere che faccia avesse quell’uomo Giovanni e cosa ci avrebbe detto oggi.
E finalmente Giovanni arrivò. Non lo vidi comparire. Era impossibile capire da dove venisse, con tutta quella folla accalcata intorno a me. Sentii soltanto la sua voce, all’improvviso, forte e chiara, che si spargeva come rugiada sugli astanti. Il silenzio calò improvvisamente. Tutti pendevano delle sue labbra. L’uomo si mise a parlare con autorità, senza timore di essere contraddetto. Diceva che dovevamo convertirci, che il tempo di Dio era giunto. Lo sentii avvicinarsi a noi ed entrare nel fiume. Cercai di spiare tra i fianchi della gente. Lo intravidi, immerso nell’acqua fino ai fianchi.
Era vestito con una tunica di pelli di animale e aveva i capelli incolti. Sembrava non mangiasse da mesi. Non sembrava indebolito, però. Tutt’altro. Mi guardai intorno. Ero circondato da persone di tutti i tipi e di tutte le età, maschi e femmine. Mi parve di notare persino dei farisei. L’uomo barbuto di fianco a me ruppe il silenzio. Chiese a Giovanni cosa dovesse fare per convertirsi. Giovanni gli rispose che chi aveva due tuniche doveva darne a chi non aveva e chi aveva da mangiare, doveva fare altrettanto.
Mi stupii per questa risposta. A prima vista, Giovanni mi sembrava un eremita, un asceta, uno di quelli che vivono nel deserto e che ritengono la propria scelta di vita come la più giusta e la più santa. Ecco, perché i capi, come li chiamava mia mamma, ce l’avevano così tanto con lui. Chi si estraniava dal popolo era implicitamente considerato un eretico, un traditore.
Alla mia sinistra, poco più in là, c’erano pure dei soldati. Anche questi gli domandarono cosa dovessero fare per convertirsi. Giovanni rispose loro di non maltrattare nessuno, di non estorcere ad alcuno alcunché e li invitò ad accontentarsi delle paghe che già possedevano.
Anche questo mi colpì molto e non tanto per la frase di Giovanni, quanto per la reazione delle guardie, stranamente così ben disposte nei confronti di quell’uomo malnutrito e mezzo nudo. Addirittura, furono le prime a scendere dentro l’acqua e a chinare la testa di fronte a Giovanni.
Mi voltai verso mia mamma e le chiesi cosa stesse facendo. Mia mamma mi rispose che Giovanni stava concedendo loro una seconda possibilità. Le stava battezzando. Anche altri gli chiesero che cosa dovessero fare per convertirsi. Giovanni continuò a parlare di giustizia. Chi aveva due vestiti, ne doveva dare a chi non ne aveva e chi aveva da mangiare in abbondanza, ne doveva concedere a chi ne aveva troppo poco.
Riconobbi alcuni pubblicani, amici di mio padre, anche loro tra la folla e anche loro con la faccia scura e il volto contrito. A loro Giovanni suggerì di non esigere nulla di più di quanto avessero fissato in precedenza. Veramente molto strane queste parole. Soprattutto da un uomo del genere.
Mi aspettavo che urlasse la sua indignazione a tutti, per come ci comportavamo, per come ci vestivamo, per la nostra vita dissoluta. Mi era capitato di incontrarne uno del genere, una volta. Ero piccolo e mio padre mi teneva per mano in un vicolo di Gerusalemme. Sul lato sinistro della strada c’era un individuo simile a Giovanni, ma costui aveva cominciato a imprecare contro di noi e a lanciarci ortaggi ed escrementi. Le guardie romane lo avevano bastonato fino a farlo tacere.
E poi iniziò la processione. La folla cominciò una lenta sfilata, dietro le guardie e tutti entrarono in acqua, piegando la testa e facendosela bagnare. Alla fine, erano tutti completamente zuppi e gocciolanti. Mia madre ebbe un attimo di esitazione, poi si mise a sfilare come gli altri, pronta, con il capo chino. Io rimasi fermo, nella mia posizione, aspettando la prossima mossa di Giovanni.
Quando la processione terminò, Giovanni spalancò le braccia e scosse la testa. Lui non era quello che pensavamo, diceva. Non era il Messia. Mi ricordavo vagamente di questo Messia. Mia nonna me ne aveva parlato quando ero piccolo. Insomma, Giovanni non era il Messia. Lui ci stava battezzando con acqua, ma questo Messia, che sarebbe arrivato dopo di lui, ci avrebbe battezzato in Spirito Santo e fuoco.
Non capii a cosa si stesse riferendo, ma tenni le domande per me e ripresi ad ascoltare. Giovanni stava dicendo che non era in grado neppure di slacciare i sandali a questo Messia. Egli infatti sarebbe arrivato con la pala per pulire l’aia e per raccogliere il frumento nel granaio, ma, allo stesso tempo, avrebbe bruciato lo scarto del raccolto, la paglia, con un fuoco inestinguibile.
Intendeva un Messia contadino? Non riuscivo a capire. Ma il Messia non sarebbe stato il figlio di Davide? Davide era il Re d’Israele per eccellenza. Eppure, Giovanni sembrava convintissimo di quello che stava dicendo e tutti i presenti gli davano corda. Persino mia madre.
Un profeta eremita e un Messia contadino. Che razza di uomini avrebbe preso il potere? Eppure, le parole dell’uomo continuavano a riecheggiare dentro di me, come un tamburo. Non ci aggredivano, non parlavano di distruzione. Parlavano di noi, della nostra fragilità e che nonostante tutto, eravamo fratelli e che, come fratelli, dovevamo aiutarci l’un l’altro. Con equità, con misericordia. Tutto molto semplice, eppure nessuno parlava di giustizia come ne parlava Giovanni. Tutti i capi facevano grandi discorsi, eppure le parole che lui diceva erano le uniche ad avere senso.
Sentii lo sguardo dell’uomo barbuto, del suo amico e di mia cugina su di me. Mia mamma era di lato, ma sapevo che con la coda dell’occhio mi stava fissando. Alla fine, mi decisi. Chinai il capo e mi misi in fila. Un per paura, un po’ per riconoscimento. Quando Giovanni mi versò l’acqua in testa, un raggio di sole squarciò le nuvole in cielo. Sentii che qualcosa dentro di me si era liberato, come una colomba che spicca il volo. Sorrisi. Guardai Giovanni e lui mi guardò. E ora, cosa dovevo fare?


 

Dal Vangelo secondo Luca (3, 10-18)

10 Le folle lo interrogavano: «Che cosa dobbiamo fare?». 11 Rispondeva: «Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto». 12 Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare, e gli chiesero: «Maestro, che dobbiamo fare?». 13 Ed egli disse loro: «Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato». 14 Lo interrogavano anche alcuni soldati: «E noi che dobbiamo fare?». Rispose: «Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno, contentatevi delle vostre paghe». 15 Poiché il popolo era in attesa e tutti si domandavano in cuor loro, riguardo a Giovanni, se non fosse lui il Cristo, 16 Giovanni rispose a tutti dicendo: «Io vi battezzo con acqua; ma viene uno che è più forte di me, al quale io non son degno di sciogliere neppure il legaccio dei sandali: costui vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 17 Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua aia e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile». 18 Con molte altre esortazioni annunziava al popolo la buona novella.

Contatti

Via Ada Negri, 2
27100 - Pavia
Tel. +39 0382 26002
Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo..it

Seguici

Orari

SS. Messe feriali: 8.15; 18.30
SS. Messe festive: 11.30; 18.30
Confessioni: tutti i giorni (tranne il venerdì pomeriggio) dalle 8.45 alle 12.30 e dalle 15.00 alle 18.00