“Lavorare non basta, il lavoro non è tutto, sarà parte integrante di noi, ma ci vuole ben altro per riempire il cuore di un uomo" è in questo modo che un giovane m'investe l'altra mattina mentre stavo sul piazzale della chiesa.
"E' mai possibile, che io sia costretto a vivere in un mondo che misura tutto in moneta sonante, ho un lavoro che mi piace tanto, mi sento realizzato, ma non guadagno molto ed è per questo che i miei genitori e la mia ragazza, sì anche lei, stanno facendo pressioni perché lo abbandoni. Mi sento solo, non capiscono che in questo modo mi uccidono, ho guadagnato poco, anche se per me è sempre bastato; con piccoli sacrifici me la sono sempre cavata e vivo a mio parere dignitosamente... sai la macchina è solo un'utilitaria, la casa è piccola, ma intanto mi sono sempre sentito in sintonia con me stesso. Non pensare che non mi costi tempo questo mio lavoro, anche se talvolta devo dire con coraggio di no, per non essere travolto. Sai ciò che più mi pesa è che anche lei non capisca, fino a poco tempo fa era felice, diceva che non era importante, che la nostra libertà e il nostro amore valevano molto di più.
Adesso invece è con i miei ed i suoi genitori e tutti insieme dicono: "Fatti lfurbo, non puoi sapere come va a finire la vita", e pensare che mio padre è una vita che accumula con affanno denaro perché non sa come finirà.
Sono triste, devo infatti scegliere tra la mia ragazza, e con lei i miei cari e il "comune modo" secondo loro di vivere, oppure il mio lavoro che non “rende molto" ma mi fa sentire in pace con me stesso e con Dio". Lo guardo negli occhi, ha un lacrimone che gli scende giù lungo il viso, mai come in questo momento si è reso conto di essere solo, lo abbraccio e lo bacio ma non so proprio cosa dirgli. Ho visto in lui morire un poco di me. Voi cosa gli avreste detto?
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