Suona il campanello del convento, guardo appena fuori dallo spioncino e vedo un uomo sulla sessantina molto dismesso, vestito lacero e sporco, barba incolta. "Benvenuto", gli dico in modo affabile. L'ometto incurante del saluto, mi guarda in faccia e con tono sprezzante mi dice: "Ehi frate, su svelto dammi da mangiare che ho fame", e qui per guarire il tutto si lascia scappare una bestemmia. È come se fossi colpito da un fulmine, il sangue mi sale al cervello: "No, questo no! Questo non lo doveva dire!" mi ripeto e aprendo la porta gli vado incontro, gli uno in faccia tutta la mia rabbia e lo scaccio in malo modo. Rientro in convento placato e soddisfatto "così impara a bestemmiare; che vada a cercare il pane altrove quel bestemmiatore senza Dio". Passa il giorno e arrivata la sera; mi sono dimenticato dell'episodio, dopotutto mi sono accadute parecchie altre cose, ho avuto contatti con tanta gente, problemi di varia natura. La riflessione della giornata ormai trascorsa si ferma a considerarne alcuni che metto nelle mani di Dio, chiedo misericordia al Padre per la mia debolezza anche se in modo un po' distratto e mi accingo a dormire. Passa il tempo, ma non prendo sonno e dentro di me sale sempre più con prepotenza il pensiero di quanto è accaduto la mattina con quel povero. Con baldanza continuo a giustificarmi e dopotutto mica sarà morto di fame per quel giorno, avrà imparato la lezione e poi qualcuno gli avrà dato del pane. "Eh già, qualcuno glielo avrà dato" una voce mi sussurra dentro, "è sessant'anni che Dio gli usa misericordia con qualcuno a sfamarlo mentre tu non hai avuto pietà di lui e lo hai mandato altrove a cercare del pane per sopravvivere".
