Fedeltà alle piccole cose

Leggendo Matteo 10,1-15, mi sono soffermato con attenzione sul monito fatto da Gesù ai novizi discepoli di “non andare tra i pagani e non entrare nelle città dei samaritani”, se non unicamente di rivolgersi “alle pecore perdute della casa d’Israele”.

Questo, letto in modo sbrigativo, sembra a primo acchito un invito da parte del Signore a star lontani da questa gente, quasi che questi non fossero meritevoli di ricevere il messaggio di salvezza da Lui portato. Ma, oramai, credo di essere entrato nella logica di “non esclusione” apportata dal Cristo con la sua parola ed esistenza, e perciò mi son detto che fosse davvero impossibile che Egli non ritenesse degni d’amore pagani e samaritani. Entrando perciò più densamente all’interno del brano evangelico, ovvero cercando più attentamente “il tesoro nascosto nel campo” celato tra le parole di Gesù, mi sono reso conto che il Signore, anziché ritenere inferiori questi due gruppi etnoreligiosi, li considerava piuttosto non ancora pronti e maturi per ricevere un messaggio di tale portata.  Questa conclusione, di cui sono fermamente convinto, mi ha permesso di riflettere sul fatto che certi eventi hanno i propri tempi e le proprie tabelle di marcia, e che spesso il Signore ci invita ad essere “umili”: ad adempiere unicamente alla piccola missione a noi richiesta, e rivolgerci semplicemente ed umilmente “alle pecore perdute d’Israele”. Infatti, il messaggio diretto ai pagani in futuro arriverà, così come il passaggio di Gesù in Samaria, ed è per questo che Cristo con quelle parole dice ai discepoli (ma ripete ogni giorno anche a noi) di restare fedeli nel piccolo, di far bene e portare a termine il compito quotidiano che giornalmente ci viene richiesto. Di non ambire a grossi e - per il momento - irrealizzabili propositi, quanto piuttosto (riprendendo proprio Mt 10,6) di vivere con amore e coerenza cristiana nello spazio vitale che ci è stato per il momento indicato. Quello a cui siamo e saremo destinati, poi, lo sa soltanto Dio.

Come già detto, gli apostoli in futuro arriveranno ad evangelizzare anche i pagani, ma per il momento non è questo quello che viene richiesto loro. E così, come fatto ai discepoli, il Signore chiede a noi, adesso, le medesime cose: “Ama e riempi di me il tuo quotidiano, fai del bene, annunciami con amore e con la tua stessa vita nel tuo luogo di lavoro e ovunque ti trovi ad essere. Non fare più di quanto ti chiedo: così facendo permetterai a me di predisporre quando e come dovrai muoverti fuori dal recinto «delle pecore perdute della casa d’Israele». Questi tempi forse arriveranno, ma non sono l’oggi che io per il momento ti domando.”

Queste parole, che immagino Gesù rivolga ad ogni cristiano, annichiliscono quell’egocentrico desiderio che si trova nascosto dentro ognuno di noi: arrivare lì dove nessuno è mai arrivato; aver compiuto soltanto noi quella specifica missione, e con ciò restare indelebili tra i noti della terra; riuscire a mettere la nostra firma su qualcosa di mai realizzato e che porta proprio il nostro nome.

Ma vi è “verità cristiana” in un desiderio del genere? È davvero a questo “infuocare il mondo in modo prorompente” a cui siamo chiamati, o piuttosto quello di accendere, umilmente, una fiaccola d’amore nel cuore di chi ci si para davanti, portando negli altri Colui che alimenta di bene e di bellezza la nostra esistenza?

In ogni caso, grandi missioni compiute o semplici ed umili preghiere elevate al cielo, noi per Lui siamo e sempre resteremo unici e preziosi, insostituibili, degni d’ogni amore e di ogni stima: l’essere perfetto “destinato a rallegrar lo sguardo del Signore quand'egli si degna d'abbassarlo” (santa Teresina di Lisieux).

 

Un’altra frase di questo brano evangelico che mi ha particolarmente colpito è: “gratuitamente avere ricevuto, gratuitamente date”. Infatti, l’amore di Dio Padre, la fede che sgorga incessante dai nostri cuori, la pace e la grazia quotidiana a cui il Signore ci destina, sono beni che è impossibile trattenere per noi. Infatti “non può restare nascosta una città collocata sopra un monte”, e proprio per questo motivo, che la fede, è una grazia talmente grande da non poter non essere annunciata anche e soltanto col nostro sguardo, o con il senso di compiutezza in Lui che trasmettono i nostri occhi. L’amore per Cristo, se vero, non può restare sepolto nel nostro cuore, isolato e confinato dentro i nostri schemi umani: lasciarci indifferenti innanzi al nostro prossimo, e così condurre una vita all’insegna dell’autoreferenzialità. No, l’amore per Dio è una misura talmente “colma e traboccante” da risultare impossibile non intingere e “bagnare” chi ci si fa prossimo, o chi si accosta alla nostra vita anche per pochi istanti; non lasciare nel nostro interlocutore un pezzetto di quel cielo dentro di noi, quel senso di libertà sovrannaturale che abbonda e ricolma la nostra anima. Gesù è infatti una presenza troppo grande nel cuore di un uomo da poter essere nascosta così, senza lasciarne alcuna traccia. L’amore di Dio e la sua presenza in noi è talmente grande e agli altri tangibile da renderci inconsapevolmente “il sale della terra”, “il motore del mondo”, “i silenziosi protagonisti della storia”.

Quello che abbiamo ricevuto è un amore gratuito, ed è proprio con la misura della gratuità con cui ogni cristiano è chiamato a sintonizzare la propria vita. Questa, infatti, è l’unità di misura con cui ogni credente deve valutare la propria esistenza: la gentilezza e l’amore con cui dona sorrisi e tende la mano al suo prossimo; l’assenza totale di tornaconto nel compiere le proprie azioni. Il cristiano dona sempre in modo gratuito ed abbondante, proprio perché aderendo alla fede in Cristo, diventa in Lui, parte di Dio stesso, che è “il datore dei doni” per eccellenza, e l’Essenza stessa dell’Amore.

Comprendo così, in ultimo, che il cristianesimo è una meravigliosa ed incredibile contraddizione alla logica umana: si è “il sale della terra”, ma lo si è in modo invisibile; si è umili, seppur divenendo “una città posta in un monte” ed “un candelabro posto ad illuminare gli altri”; si è parte del Dio infinito, rimanendo infinitamente piccoli.

Marco Spataro

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