Bernadette non ci ha ingannati

Leggendo il libro di Vittorio Messori, “Bernadette non ci ha ingannati”, mi sono molto appassionato alla storia delle apparizioni mariane avvenute presso la grotta di Massabielle. Questo ha suscitato in me il grande desiderio di intraprendere un pellegrinaggio verso Lourdes, con lo scopo di vedere da vicino i luoghi dove la piccola Bernadette ebbe il suo incontro con Maria, e così meglio comprendere e consapevolizzare il mistero che lì si svolse.

Giunto a Lourdes il 3 aprile insieme ad un fraterno amico, la cosa che in primo luogo mi ha colpito è stato notare la semplicità cristiana con cui si vivono e svolgono i vari momenti liturgici quotidiani: la messa al mattino, il rosario pomeridiano presso la grotta, la processione serale accompagnata dalla fiaccolata. Nessun colpo di scena, nessuna manifestazione particolare, nessuna ricerca da parte dei pellegrini del suggestivo o del prodigioso; unicamente (si fa per dire) preghiera, silenzio, letizia, carità e gioia spirituale. Come a dire che, Dio, qui si manifesta in modo ordinario: non come terremoto o vento impetuoso, ma come brezza leggera che rinfranca e ristora l’anima. Queste sensazioni, provate nel profondo, mi hanno confermato nel cuore quanto già detto da Messori: Bernadette non ci ha assolutamente ingannati; ella ha detto il vero, lì Maria le è apparsa, e così facendo ha lasciato a Lourdes degli scampoli di paradiso.

Come detto, a destare in me certezza spirituale riguardo ai fatti di Lourdes non è stato l’apprendere storie di guarigioni miracolose e scientificamente inspiegabili (ben esposte presso il museo dei miracoli), ma il cambiamento che, giorno dopo giorno, ho percepito avvenire nel mio cuore. Ho sentito il Signore, sempre con dolcezza e delicatezza, e mai in modo violento e impositivo, “sostituire il mio cuore di pietra con un cuore di carne, consegnarmi uno spirito nuovo per farmi vivere secondo le Sue leggi e le Sue prescrizioni”. Infatti, sapere di essere cristiano, nel tempo, ha quasi consolidato in me la supponenza di credere di compiere le cose sempre per bene, di non essere mai in torto poiché, a mio dire, Cristo è messo al primo posto nelle mie scelte. Ma, proprio a Lourdes, Dio è intervenuto riportandomi sulla via che conduce alla Sua volontà, deviandomi così dalla mia che, invece, avevo confuso per Sua.

In tal senso, vorrei raccontare un evento che sento di dover condividere: l’ultimo giorno di pellegrinaggio, il mio amico mi chiese di poterlo accompagnare presso lo stabile dove si celebra il sacramento della riconciliazione in lingua italiana, desideroso di accostarsi, dopo tanti anni, a tale evento. Pertanto, recatomi lì unicamente in qualità di accompagnatore, poiché già confessatomi un paio di giorni prima della mia partenza, decido di sedermi in disparte, in attesa che il mio amico terminasse la propria. Ed ecco sentire proprio in quel frangente un forte impulso nel cuore che invitava anche a me a celebrare il sacramento della riconciliazione. Ciò mi lasciava un po' di sasso poiché, come detto, avevo già celebrato la confessione soltanto qualche giorno prima. Ma, nonostante il mio iniziale scetticismo, preso atto che la sensazione che provavo non accennava minimamente a terminare, bensì si faceva sempre più calda ed invitante, ecco decidermi anch’io a confessarmi, recandomi con passo svelto presso il primo sacerdote disponibile, curioso di comprendere il motivo di tale significativa percezione.

Giunto nel confessionale, mi trovo innanzi un frate francescano dalla barba lunga e gli occhi indicibilmente buoni, che mi invita a confessare i miei peccati a Dio. Così, dopo aver espresso brevemente i miei peccati ed il senso del mio pellegrinaggio, il frate, guardandomi intensamente negli occhi, come a scrutarmi profondamente dentro, vagliando nel contempo ciò che si trovava nel fondo della mia anima, mi domanda: “porti del rancore verso qualcuno?”. Questa domanda, giunta come un fulmine a ciel sereno durante quella confessione, mi ha immediatamente riportato alla mente un astio in corso con un cugino di primo grado; astio che, a causa del male da me patito, mi aveva indotto a prendere la decisione di non invitarlo al mio matrimonio con Stefania. Raccontato così al sacerdote dei dolorosi fatti avvenuti con mio cugino, ovvero della mia scelta definitiva di non invitarlo al matrimonio, questi, sempre guardandomi in modo perscrutante, mi sussurra: “Riflettici bene. Sei un cristiano e, come tale, sei chiamato a seminare atti di bontà anche laddove è stato seminato dolore. Come dice Gesù, che merito avresti nell’invitare soltanto chi ti ha invitato? Ecco, io credo tua sia chiamato a fare il contrario. Ma non è per lui che devi farlo: egli farà da sé i conti con la sua coscienza, ma tu devi fare i conti con la tua. Invitarlo te la alleggerirebbe, lascerebbe andar via da te il rancore che provi per lui, ti aprirebbe alla strada che porta al perdono. Non invitarlo, invece, avrebbe il sapore della vendetta”.

Udite queste parole, ho sentito il mio cuore struggersi di dolore, essendomi reso conto soltanto in quell’istante che, ciò che chiamavo giustizia, era soltanto vendetta. Ora era tutto chiaro: Dio mi aveva invitato in quel confessionale per dirmi: “se vuoi essere perfetto va’, vendi quello che possiedi e poi, seguimi!

Ringraziato il sacerdote, con il cuore colmo di gioia e l’animo leggero, afferro il cellulare ed invio un messaggio a mio cugino: “Ciao cugino come stai? Io e Stefania avremmo il piacere di invitarti al nostro matrimonio!”.

Marco Spataro

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