La Comunione che fa comunità

Da sei anni rinnovo la promessa della gioventù francescana di avere “l’Eucarestia come centro”, ma ho sempre stentato a capire che posto potesse occupare nella mia vita. Eppure l’eucarestia è il sacramento più concreto e più frequentemente ripetuto della nostra tradizione.

Da qualche mese non solo mi sono trasferita, ma è molto raro, per motivi esterni e per scelte personali, che il weekend mi trovi a casa. Spesso sono anche con persone che non frequentano la messa della domenica.

Questo mi ha tolto via la possibilità di vivere la celebrazione eucaristica con continuità nello stesso posto e con le stesse persone; ma la difficoltà mi ha costretta a interrogarmi con serietà e sincerità sul che cosa (e chi) mi spingesse a dare priorità a quell’oretta settimanale in chiesa.

La prima cosa che mi ha stupita è questa: mi sono resa conto che, se appena si ha voglia di fare una bella riflessione su un brano di Vangelo, la predica della domenica è una delle tante possibilità. I commenti al Vangelo piovono dall’Internet, basta cercarli. Ci sono anche tanti percorsi di meditazione ed esercizi spirituali.

Sicuramente un fattore determinante per me nell’andare a messa è sempre stato il sentirsi parte di una comunità. È certamente più facile se conosci per nome, o quantomeno in viso, la maggior parte delle persone che la vivono con te. Ma è necessario? Cosa ci rende Chiesa la domenica e non solo “in chiesa”? 

Se la logica dei nomi ha un senso, chiamare “comunione” l’Eucarestia dovrà pur voler dire qualcosa. Se mi metto “in comune” con Dio, mi metto in comune anche con gli altri. Sono e faccio comunità. 

Questo pensiero ha dato una nuova luce al mio rapporto con il sacramento. Non lo ha reso più facile da provare, richiede un certo allenamento, ma è sicuramente più digeribile dell’idea di mangiare il corpo incarnato di Cristo, che rimane un mistero enorme ed estraniante.

Non sarò ipocrita: ho fatto e a volte tutt’ora faccio tanta fatica. 

Altre volte, però, ricevo bellissime sorprese: il recente triduo pasquale (per inciso, quest’anno è stata la prima volta in cui l’ho vissuto per intero) è stato un’occasione preziosissima di scoperta del tempo Pasquale, con celebrazioni vissute in modo molto bello e sentito dalla parrocchia che mi ha ospitata. 

Recentemente mi è capitata davanti a questa citazione di Sant’Agostino (Discorso 228/B): <<Prendete dunque e mangiate il corpo di Cristo, ora che anche voi siete diventati membra di Cristo nel corpo di Cristo; prendete e abbeveratevi col sangue di Cristo. Per non distaccarvi, mangiate quel che vi unisce; per non considerarvi da poco, bevete il vostro prezzo. Come questo, quando ne mangiate e bevete, si trasforma in voi, così anche voi vi trasformate nel corpo di Cristo (…)>> 

Più che come affermazione la interpreto come una preghiera. Non credo di meritare, ma spero di ricevere una grazia che non merito. 

E se spero credo.

Delia

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