La Marcia Francescana

Sono partita il 25 luglio. Avevo festeggiato 25 anni giusto il giorno prima e per tutto il tempo la Marcia ha a vuto per me il retrogusto di un regalo inaspettato.

Quello che sapevo concretamente, in quel momento, era più o meno l’itinerario: poco più di 100 km a pie di, zaino-muniti, da Edolo a Provaglio d’Iseo, per poi spostarsi su ruote ad Assisi e incontrare gli altri marciatori d’Italia (e non solo) alla festa del Perdono del 2 luglio. Facile. Bello. Tra l’altro in posti del cuore, visto che considero la Val Camonica una seconda casa.

Breve riassunto, invece, di quello che non sapevo: niente di quello che si fa in marcia viene “facile”. E div enta bello solo quando si esce dalla propria bolla.
La prima mattina sentivo che c’era grande carica e grande entusiasmo per la partenza; bene, entro le tre e mezza di pomeriggio avevamo collettivamente accumulato numerosi piantini di sconforto e qualche centinaio di vesciche, nonché un inspiegabile desiderio di tagliarsi i piedi. Eravamo assonnati, affamati, e io, da brava maniaca del controllo, stressata dal non sapere assolutamente nulla di... niente. Cortocircuito totale del mio software di programmazione.
Quando, nel pomeriggio, mi hanno chiesto di scrivere sul quadernino una parola che riassumesse la giornata, sono rimasta asetticamente letterale: primo passo. Però lo è stato davvero. Per me la bolla era scoppiata.

Ho scoperto una libertà infinita oltre i miei limiti personali. La bellezza di affidarsi agli altri in modo completo, senza preoccupazioni, il dono di avere meno “cose” e molta più vita intorno, la felicità di essere ogni singolo momento nel presente e volerci stare appieno. Non conoscevo nessuno quando sono partita. Non c’è nessuno dei miei compagni marciatori con cui non abbia condiviso una parte sincera di me, che non mi sia rimasto nel cuore. Per me non c’è mai stato modo più vero di sentire Dio che l’incontro con Lui nelle altre persone.

A proposito di Dio. Sì, ovviamente c’era anche Lui, anzi, soprattutto Lui.
La frase scelta per questa 41esima marcia era: “Oggi con me in paradiso”, una cosa così, leggera. Non mi sono certo bastati quei poveri 100 km di cammino fisico per capirci qualcosa, direi che ci ho aggiunto un buon migliaio di chilometri interiori. La Marcia è un momento che ti costringe a guardarti indietro, dentro e davanti. Ti dice di non avere paura, che la tua vita nelle Sue mani può essere una cosa nuova, più bella, più grande di quanto avresti mai immaginato da solo/a. E che, a prescindere da com’è stata la tua vita e da quella che è e sarà la tua vocazione, siamo chiamati all’Amore.

Non so cosa mi porto a casa. Tutto, mi verrebbe da dire, con la leggerezza e l’emozione di quel Perdono alla Porziuncola; in più, un pezzettino di Paradiso da cercare di coltivare dentro e costruire fuori di me.

“L'inferno dei viventi non è qualcosa che sarà; se ce n'è uno, è quello che è già qui, l'inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l'inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all'inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”
Italo Calvino, Le città invisibili

Delia

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