VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Beati i poveri. Guai a voi, ricchi

Lectio VI Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Il Vangelo della VI Domenica del Tempo Ordinario, anno C, ci riporta il discorso di Gesù che possiamo intitolare in tre modi diversi: il discorso inaugurale, il discorso della pianura, le Beatitudini. Infatti le parole che ascolteremo nel vangelo sono parte centrale del grande discorso programmatico di Gesù, che viene riportato anche in Matteo, con alcune differenze.

Nel terzo vangelo, di fatto, Gesù inizia la sua predicazione nella sinagoga di Nazaret, con parole che sono molto simili a quelle delle Beatitudini: «Lo Spirito di Dio è su di me per questo mi ha inviato ad evangelizzare i poveri, a liberare i carcerati, gli oppressi, a guarire i ciechi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (cf. Lc 4,18-22). In Matteo, le beatitudini sono otto e vengono proclamate su di un monte. In Luca ascoltiamo quattro beatitudini e quattro guai, in una pianura.

vv. 17.20a 

17Disceso con loro, si fermò in un luogo pianeggiante. C'era gran folla di suoi discepoli e gran moltitudine di gente da tutta la Giudea, da Gerusalemme e dal litorale di Tiro e di Sidone. 20aEd egli, alzàti gli occhi verso i suoi discepoli, diceva

«Disceso con loro»: Gesù discende dal monte, dove era salito a pregare e poi scegliere i dodici a cui diede il nome di apostoli (cfr. vv. 12s.), per incontrare la folla dei discepoli e la massa della gente.

«luogo pianeggiante»: τόπου πεδινοῦ (topou pedinou), significa un luogo piano, pianegiante. Non è necessariamente in contraddizione con Matteo che parla di monte (cfr. Mt 5,1). Anche il monte delle Beatitudini presenta dei luoghi pianeggianti, adatti per il raduno di folle. È evidente che a Luca, così come a Matteo, non interessa la topografia del luogo. Piuttosto, se per Matteo che consegna il suo vangelo a una comunità di provenienza giudea, interessava mettere in evidenza il riferimento a Mosè e alla legge consegnata sul monte. A Luca, che scrive il vangelo per cristiani provenienti dal mondo ellenico, non occorrono riferimenti che aggancino al Primo Testamento.

«folla di suoi discepoli… moltitudine di gente»: Attorno a Gesù ci sono tre cerchi concentrici: i dodici, i discepoli e il popolo (λαός, laos, indica però che si tratta  sempre di ebrei); rispettivamente i scelti, quelli, venuti non solo dalla Palestina ma anche dalla vicina Fenicia, interessati al suo insegnamento e quelli affascinati dalla sua potenza taumaturgica.

«Alzati gli occhi»: alzare gli occhi verso qualcuno nel linguaggio biblico significa richiamare l'attenzione del lettore su quanto sta per essere detto o descritto.

«verso i suoi discepoli»: Luca precisa che i destinatari immediati del discorso di Gesù sono i suoi discepoli, non - immediatamente - la moltitudine del popolo.

Le beatitudini in Luca sono quattro e così i guai, ma qualcuno sostiene che siano tre più uno. La quarta, probabilmente, ha una lunga storia di interpretazione e di redazione e di questa se ne anno echi nella Lettera di Giacomo 1,12 («Beato l'uomo che resiste alla tentazione perché, dopo averla superata, riceverà la corona della vita») e nella Prima lettera di Pietro 4,14 («Beati voi, se venite insultati per il nome di Cristo») e altrove.

 

vv. 20b-21

20b«Beati voi, poveri,
perché vostro è il regno di Dio.

21Beati voi, che ora avete fame,
perché sarete saziati.
Beati voi, che ora piangete,
perché riderete.

«Beati»: Μακάριοι (makarioi), μακάριος (makários), beati, felici. Interessante che l’equivalente אָשֵׁר ('âshêr) che significa:andare dritto, camminare, andare avanti, avanzare, progredire. Questa può essere una curiosità, ma può indicare che la beatitudine non è un piatto essere beati che non sa vedere la realtà in faccia: è beatitudine perché apre un avvenire di cui il presente non può dare alcuna idea; più che una dichiarazione, la beatitudine è promessa (anche se espressa al presente), e promessa che non deluderà perché Dio stesso è il garante.

Le beatitudini sono presenti nel vangelo, oltre che in questo discorso, almeno una trentina di volte, in brevi sentenze

«voi»: le beatitudini di Luca valgono direttamente per coloro che conoscono Gesù e che si vogliono dire con verità suoi discepoli.

«poveri»: πτωχός (ptōchós), poveri. Matteo parlava di poveri in spirito, di quelli che hanno fame e sete di giustizia e di afflitti (cfr. Mt 5,3-4.6); sono espressioni ebraiche che evocano gli 'aanawim, che formano il resto di Israele. Luca opta per un vocabolario più “materialista” o concreto. Qui non si tratta di un linguaggio figurato, Gesù parla di gente senza soldi, priva di cibo quotidiano, che piange, senza che se ne indichi il motivo, per opposizione a ricchi, panciuti e gaudenti. 

«perché vostro è il regno di Dio»: È chiaro che i beati non sono tali perché poveri, affamati o perché piangono. Occorre dare un senso forte al “voi” a cui Gesù si indirizza. Sono beati perché stanno con Gesù, il profeta messianico che riapre l’avvenire.

Essere discepoli di Gesù implica il vivere in mezzo agli uomini in situazioni di povertà materiale, il conoscere fame e pianto; e quanto confermeranno gli annunci della passione di Gesù. Nondimeno però sono beati già ora, perché essendo ora con Gesù, il regno di Dio è (già ora) loro, proprio nella persona di Gesù.

La ragione del privilegio evangelico dei poveri deve essere cercata non nelle disposizioni spirituali che essi possono avere, ma nelle disposizioni di Dio e nel modo con cui egli intende esercitare le sue prerogative regali, i poveri proclamati beati da Gesù, sono innanzitutto delle persone realmente miserabili e disprezzate; sono proclamati beati non come tali bensì in quanto sono, a motivo della loro condizione, l'oggetto privilegiato della benevolenza divina, coloro ai quali è indirizzato in primo luogo la buona notizia della salvezza.

 «avete fame»:  πεινάω (peináō), avere fame. Si tratta di fame vera e propria e non solo di giustizia come in Mt 5,6.

 «piangete»: κλαίω (klaio) piangere. Luca indirizza questa beatitudine non agli "afflitti" ma a "coloro che piangono". La parola greca e più ancora quella ebraica, descrivono un dolore in quanto si manifesta (in ebraico בָּכָה, bakah, significa piangere versando lacrime, piangere amaramente). Non è soltanto un'intesa tristezza, ma lo è talmente che esplode al di fuori; i penthountes sono simili a persone appena colpite crudelmente nei loro affetti e che piangono un morto. Dio stesso asciugherà per sempre le lacrime dai loro occhi (Ap 7,17; 21,4).

vv. 22-23

22Beati voi, quando gli uomini vi odieranno e quando vi metteranno al bando e vi insulteranno e disprezzeranno il vostro nome come infame, a causa del Figlio dell'uomo. 23Rallegratevi in quel giorno ed esultate perché, ecco, la vostra ricompensa è grande nel cielo. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i profeti.

Questa è la beatitudine più elaborata e si distingue nettamente dalle prime tre, per stile e lunghezza. Sembra la cristallizzazione di numerose esperienze fatte nel corso della storia dai primi cristiani, che hanno verificato come la loro sorte si trovasse spesso di fatto conformata a quella del Signore. Per questo potevano aspettare nella gioia, nonostante tutto, la loro ricompensa, ma appunto non più ora, bensì nel cielo (v. 23). Qui appare più evidente rispetto alle prime tre beatitudini che la felicità proclamata ai makarioi sta proprio in quella conformazione a Cristo e non nelle sofferenze in sé.

«Vi odieranno...»: μισέω (miséo), odiare, perseguire con odio, detestare è lo stesso avvertimento dell'ultima cena (Gv 15,20).

«Rallegratevi... esultate»: sono due imperativi aoristo positivi ordinano di dare inizio a un'azione nuova. Esultare traduce σκιρτάω (skirtáō) che significa saltare. È infatti l'inizio di una gioia nuova, speciale, mai provata prima.

vv. 24-25

 24Ma guai a voi, ricchi,
perché avete già ricevuto la vostra consolazione.
25Guai a voi, che ora siete sazi,
perché avrete fame.
Guai a voi, che ora ridete,
perché sarete nel dolore e piangerete.
Ai beati voi corrispondono, specularmente, gli infelici voi.

«Guai»: Il greco Oὐαί (ouai) non indica una maledizione; corrisponde piuttosto a ahimè. Richiama i lamenti che nell’Antico Testamento si fanno sui morti o su quelli che sono senza futuro (cfr. 1Re 13,30; Ger 22,18; eccetera). Nel loro caso, non la ricchezza, la sazietà o le risa li rendono infelici, ma il contrasto tra il “voi” miei discepoli e il non esserlo. 

I “guai” non sono da considerarsi come condanne irrevocabile ma come lamenti o meglio degli inviti forti e drammatici alla conversione (Cfr. 13,34s; 21,20-24;23,28-31; ecc.).

Da ricordare che secondo uno schema veterotestamentario dell'alleanza, ogni volta che si stipula o si rinnova l'alleanza tra Dio e il suo popolo, gli impegni vengono sanciti con una serie di beatitudini-promesse e di maledizioni-minacce (Cfr. Dt 11,13ss.26ss; 28,1ss).

«avete già»: ἀπέχω (apéchō) avere tutto, avere per intero per intero, avere ricevuto. potremmo tradurre, avete riscosso il credito e perciò non potete pretendere più niente. Il tempo verbale presente esprime il tempo della realtà e descrive un'azione che si sta svolgendo ora, in questo momento, con tendenza a durare verso un immediato futuro.

v. 26

26Guai, quando tutti gli uomini diranno bene di voi. Allo stesso modo infatti agivano i loro padri con i falsi profeti.

Si corre sempre il rischio di mendicare approvazioni e di essere sempre troppo attenti al giudizio degli uomini. Circa la carità, la giustizia, i doveri verso il prossimo, la sequela fedele del Signore, Luca appare, in un certo senso, più radicale di Matteo e di Marco. I detti di Gesù riportati nel evangelo di Luca non lasciano spazio a compromessi umani. Dobbiamo ricordare che le sue comunità venute dal paganesimo correvano il rischio di paganizzarsi di nuovo. Per questo la predicazione del Signore deve essere presentata nella sua autenticità e durezza evangelica. Non va edulcorata.

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