Domenica Francescana - 13 gennaio 2019
Le difficoltà nella relazione fraterna: sostenere in pace. Testi: LMin 1-11: FF 234-236; Am 13: FF 162; Am 15: FF 164; Am 19: FF 169; Della vera e perfetta letizia: FF 278.
Vivere una relazione fraterna e viverla in pace. Come riuscirci? Il Padre San Francesco nei suoi scritti ci ha indicato la via tratta dall'esperienza di vita con i suoi confratelli, dagli 11 amici con cui fondò la prima fraternità a tutti quelli che, nel giro di pochi anni, chiesero di poterlo seguire. San Francesco come sempre è semplice e chiaro: bisogna prendere la via della pazienza, dell'umiltà, della misericordia e dell'obbidienza. Bisogna guardare alla nostra esistenza nella sua essenzialità che è totalità in Dio. Perché “Quanto l’uomo vale davanti a Dio, tanto vale e non di più”. Basta questo.
Esperienze di vita comunitaria si vivono spesso: in una famiglia più o meno grande, al lavoro, in un gruppo parrocchiale o sportivo e ovviamente in una fraternità. Il Laboratorio pomeridiano della Domenica Francescana, dedicata a questo tema, ha proposto una storia che descrive cosa può succedere in una situazione di vita comunitaria, anche la più semplice e spontanea, come quella di un gruppetto di ragazzini a cui piace giocare a pallone. Il Laboratorio l'ha condivisa come spunto per la riflessione personalE dei partecipanti e la restituzione di ciascuno.
La storia è stata illustrata da Alice. Grazie!
DI COME INIZIARONO A GICARE A PALLONE
Quando ero all'Università c'era un gruppo di ragazzi che giocavano sempre a pallone in strada. In quegli anni a Pavia non passavano tutte le macchine che circolano adesso, per cui giocare in giro non era un problema. Stando insieme in quel modo, così semplice e spontaneo, avevano capito che non servivano cose costose per divertirsi, ma basava avere l'entusiasmo di trovarsi e di vivere in armonia con i propri amici.
Quei ragazzi con la loro allegria facevano sorridere tutti quelli che passando per il quartiere li vedevano. Così, per premio, un anziano signore affidò loro un piccolo pezzo di terra, uno dei tanti di sua proprietà vicino alla marcita, per farne un campetto, a patto però che se ne prendessero cura. Non sapevano se ce l’avrebbero fatta, né se davvero avessero bisogno di uno spazio, come dire, “regolamentare” per giocare insieme, ma raccolsero la sfida e impararono ad organizzarsi.
Trovarono sia il tempo di fare due tiri a pallone - la cosa che gli interessava di più - sia quello di dare una sistemata al terreno e al prato togliendo le erbacce - il compito che si erano dati. Nel giro di qualche settimana e con olio di gomito il vecchio pezzo di terra incolto era diventato un campetto di tutto rispetto. Una misura abbondante anche per giocarci in 7 contro 7. Restava solo il problema delle porte, ma usando i giubbotti e qualche mucchietto di sabbia e, con l’accordo di tutti, la soluzione di trovò rapidamente. Si poteva iniziare a giocare.
Spesso la gente del quartiere che aveva assistito al gran lavoro fatto da quei ragazzi su quel pezzo di terra entrava e si fermava a vederli giocare: il loro bellissimo campetto di gioco non era passato inosservato. Una delle conseguenze di tutta quella pubblicità involontaria fu l'arrivo inaspettato di altri ragazzi, da altre zone della città. Alcuni cercavano solo uno spazio di gioco e qualche amico, altri invece volevano prendere parte al progetto, e si offrirono per dare una zappata e magari tenere aperto il campetto più a lungo e magari in orari. diversi. Il gruppetto originario però, non conoscendo i nuovi, non si fidava a lasciare loro le chiavi: e se l'anziano signore, sapendolo, si fosse arrabbiato? Avrebbe potuto riprendersele e allora addio campetto per tutti! “Meglio essere prudenti e lasciare la responsabilità del posto solo alla vecchia guardia lasciando fuori chi non aveva voce in capitolo” pensarono tra loro i ragazzi. E poi come avrebbero potuto giocare tutti? No, era meglio lasciare le cose come stavano e non farli entrare.
Non tutti però erano d’accordo con questo modo di agire. In fondo tra i ragazzi nuovi c’era anche chi comn il pallone se la cavava bene e con cui sarebbe stato bello far due tiri ogni tanto. E poi tra loro c’era anche qualche compagno di scuola che aveva già chiesto di poter giocare. Come dire di no? In fondo bastava solo mettersi d’accordo. Forse non era giusto lasciar fuori tutti per paura di cambiare qualche regola. Forse la prima decisione andava rivista.
Alcuni dei nuovi ragazzi, sentendosi esclusi ci rimasero molto male e non tornarono più. Una cosa che non piacque a tutti quelli del gruppo e non solo per il fatto del giocare: avevano mandato via chi poteva aiutarli proprio quando stava arrivando l'estate e per il campetto serviva manutenzione straordinaria.
Per fortuna non tutto si rivelò perduto. Alcuni dei ragazzi cercarono sulla guida del telefono i numeri di quelli che se ne erano andati. In una città piccola, dove si conoscono un po’ tutti, ritrovarli non sarebbe stato un problema. Li chiamarono e si scusarono, spiegando le loro ragioni e le regole di ingaggio che stavolta includevano anche loro. Non tornarono tutti, ma un buon numero sì e dopo un periodo di prova ottennero le tanto ambite chiavi e, con quelle, anche le conseguenti responsabilità! Nei tre mesi di vacanza il gruppo che ormai contava una ventina di ragazzi ebbe tanto tempo per allenarsi. Ogni ruolo era coperto e si faceva a gara per conquistare la maglia. C’erano infatti i numeri per organizzarsi in una vera squadra, non solo per il gioco a 7, ma per il grande salto nel gioco 11 contro 11.
Con la riapertura delle scuole iniziò a girare la voce che nel campetto dei ragazzi si raccoglievano le iscrizioni per un torneo, aperto ai giovani di tutta la città, purché facessero parte di un team in piena regola, come quelli delle formazioni del calcio dilettantistico. Era l’inizio ufficiale della nuova squadra. Sarebbe stata dura per dei ragazzi delle Medie dividersi i ruoli, scegliere chi mandare in campo e rispettare gli schemi di gioco. Ma tutti loro avevano imparato che mettendosi gli uni a disposizione degli altri, dando il massimo ma rispettando lo spirito di squadra che è forte di ognuno dei suoi componenti, vecchi e nuovi, si poteva giocare al pallone e sognare di andare molto lontano. Bastava avere sotto le 11 maglie lo stesso cuore:
A metà settembre gli studi mi portarono all'estero e di quella squadra non ebbi più notizie. Mi piace pensare però che il loro entusiasmo e la condivisione che seppero raggiungere li abbia fatti riuscire anche in quell'impresa... e chissà, conoscendoli, abbia permesso loro di vincere il loro primo torneo!
(by CanepaLab)
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