Lectio XXVIII Domenica del Tempo ordinario (Anno B)

Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?

XXVIII Domenica del Tempo ordinario (Anno B)

Siamo al capitolo 10 del Vangelo di Marco, ossia in quella che possiamo considerare la seconda parte. La professione di fede di Pietro (8, 27ss) divide in due parti il Vangelo secondo Marco: se prima Gesù era impegnato ad annunciare la Buona Novella a tutti, ora, senza rinunciare ad istruire la folla, converge il suo interesse sul gruppo dei Dodici che ha fatto l'opzione per Lui. I Discepoli hanno capito che Gesù è il Cristo, ma non hanno compreso cosa significa essere il Cristo, per questa ragione Gesù si concentra ora sull’insegnamento rivolto a loro.

Nella pericope che la liturgia ci propone domenica troviamo la narrazione di tre diverse situazioni con un tema comune:

  1.  un racconto di vocazione, il racconto della chiamata del ricco e del suo rifiuto (vv. 17-22);
  2. da un ammonimento, l’invito a guardarsi dal pericolo delle ricchezze (vv. 23-27);
  3. una risposta all'implicita richiesta di Pietro sulla ricompensa per la loro rinuncia (vv. 28-31).

Il tema unificante è quello della ricchezza o meglio, il rapporto con i beni che possediamo.

Esaminiamo il brano

 

PRIMO QUADRO

 

vv. 17-18 

17Mentre andava per la strada, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». 18Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo.

 

«Mentre andava per la strada»: la nota geografica del viaggio (o del cammino) è importante. Dobbiamo ricordare che la meta di questo viaggio è Gerusalemme, è il cammino della sequela - cammino unico dietro al Figlio dell’uomo che dovrà soffrire e morire per risorgere dopo tre giorni. Un tale corre incontro a Gesù. Mentre per Matteo 19,22 si tratta di un giovane e secondo Lc 18,18 è un «notabile», per Marco è chiaramente un adulto, perché rispondendo dirà «fin dalla mia giovinezza» (v. 20).

«Gettatosi ai suoi piedi»: lett. "caduto ginocchioni". Questo gesto (cf. 1,40 e 5,22) già nell'A.T. era praticato anche verso gli uomini come segno di rispetto e di deferenza (cf. Ester 3,2; ecc.). L’unico passo oltre a questo in cui Marco usa il verbo «inginocchiarsi» (gonypetéō) è 1,40, dove un lebbroso chiede a Gesù di essere guarito.

La scena di questo approccio è descritta con una modalità eccessiva. Anche l’espressione «Maestro buono» è abbastanza rara e suona come adulatoria. La persona in questione appare come un impulsivo, un entusiasta.

«cosa devo fare per avere in eredità»: "ereditare", espressione ebraica, per indicare il premio che Jahvé dà ai membri del suo popolo, che sono suoi figli e quindi hanno diritto all'eredità paterna.

«La vita eterna»: l'espressione si trova per la prima volta in Dn 12,2 ed è collegata alla resurrezione dei morti. Come in molti testi biblici (ad es. 2 Mac 7,9) indica la vita dei giusti presso Dio dopo la resurrezione. Ma oltre a questi significati precisi, la domanda esprime il desiderio di una vita realizzata, una beatitudine duratura. In questa domanda si percepisce la convinzione che ciò che importa sia il fare, la prestazione, l’aspetto attivo: agli occhi di questo tale esiste un legame necessario tra lo sforzo e il risultato. Lo si percepisce dalla stessa metafora dell’eredità: se faccio ciò che devo fare, non avrò diritto alla mia parte di eredità?

«Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo.»: Immediadamente, le parole di Gesù sembrano voler raffreddare lo zelo del candidato entusiasta. Niente complimenti superficiali. Intanto notiamo che Gesù è attento alle parole che gli vengono dette. Gesù ascolta, questo è il primo servizio che rende, la prima forma di accoglienza. «Uno solo è buono»: con questa affermazione, Gesù vuole rendere consapevole questa persona delle sue stesse parole. “Siccome solo Dio è buono, tu mi chiami buono… Allora trai le conseguenze delle tue stesse parole”

 

v. 19

«Tu conosci i comandamenti: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso, non frodare, onora tuo padre e tua madre».

 

Gesù tuttavia non respinge la domanda e risponde citando i comandamenti idonei a far conseguire la vita eterna se osservati. Anche se l'ordine è insolito (5°, 6°, 9°, il 7°, l'8°, il 10°, il 4°) sono i comandamenti che riguardano il prossimo, come se i comandamenti su Dio fossero posti su una linea arretrata, in realtà nell’osservazione di Gesù «uno solo è buono, Dio» si sente risuonare l’essenziale delle prime due parole de Decalogo. Inoltre nella ridistribuzione si può riconoscere una gradualità: anzitutto ciò che non bisogna fare (da 1 a 5), poi ciò che si deve fare. Questo corrisponde alla massima «Evita il male e fa’ il bene» (cf. Sal 37,27). Un altra lettura interessante del posizionamento del comandamento circa l’onorare i genitori come ultimo - quando nelle Tavole della Legge viene prima degli altri - è che solo dopo aver eliminato ogni paura e ogni attrazione verso gli altri la persona è in grado di riconoscere i propri genitori come genitori. I genitori sono coloro che ci strutturano nel nucleo più segreto e più originale, onorando padre e madre, onoro anche la mia storia, me stesso.

 

v. 20 

«Egli allora gli disse: «Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza».

 

Con franchezza e candore, il ricco risponde di aver obbedito ai precetti del Signore, fin da piccolo. Il Signore ha scoperto un uomo eccezionale, un discepolo straordinario!. Accorgiamoci però che questi comandamenti li osserva anche un morto.

 

v. 21

«Allora Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse: «Una cosa sola ti manca: va', vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!».

«Fissatolo lo amò»: prima di dire quello che manca a questo tale, da parte di Gesù c’è questa comunicazione di sguardo, ma soprattutto d’amore. Prima delle parole, l’amore. Le Parole di Gesù vanno sempre collocate in questo sguardo d’amore, diversamente sarebbero solo norme, comandamenti in più rispetto a quelli appena ricordati. È bello sapere che anche quel tale (giovane) che poi non accoglierà l’invito di Gesù, potrà dire: “Lui mi ha guardato con uno sguardo d’amore”.

 

«Una cosa sola ti manca»: Questa cosa «unica» è nell’ordine dell’Uno, come il «Dio Uno» che «solo è Buono». Gesù ama e invita l’uomo ad avanzare verso questo Unico che solo conta. «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla» (Sal 23), chi ha il Signore come suo pastore, non gli manca nulla. L’uomo è invitato a vivere con questo solo Signore, il Buono per eccellenza, e quindi ad abbandonare tutto per seguire Gesù a mani vuote.

«Va’ vendi quello che hai e dallo ai poveri»: sono imperativi; i comandi della salvezza e dell’incontro con il Signore. Come mostra l'esempio di Giobbe, ci si aspettava che un uomo pio prosperasse e poi diventasse un benefattore per i bisognosi (vedi Gb 1,1-5; 29,1-25). L'essere un benefattore a sua volta suscitava la gratitudine dei beneficiari e una buona reputazione nella società in genere. Gesù sta chiedendo all'uomo di spogliarsi non solo di tutti i suoi beni una volta per sempre ma di rinunciare anche al suo ruolo di benefattore.

«E avrai un tesoro in cielo»: Per questo tema vedi Mt 6,19-21 («Non accumulatevi tesori sulla terra, dove tignola e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulatevi invece tesori nel cielo, dove né tignola né ruggine consumano, e dove ladri non scassinano e non rubano. Perché là dov`è il tuo tesoro, sarà anche il tuo cuore»). Gesù vuole indurre l'uomo ad ammettere che ci sono beni anche più grandi dell'essere ricco in questa vita e del fare la parte del benefattore.

«Seguimi»: imperativo presente. Il giovane con la sua richiesta si è già messo praticamente al seguito ordinario di Gesù; ora si tratta di passare a un seguito che dall'insieme prometterebbe di essere straordinario. Le parole di Gesù rispondono al desiderio di perfezione del giovane e vogliono indicare in modo concreto ciò che egli deve fare per realizzare quell'unica cosa che gli manca.

 

v. 22

«Ma a queste parole egli si fece scuro in volto e se ne andò rattristato; possedeva infatti molti beni.

«si fece scuro in volto»: letteralmente "corrugò la fronte". L'uomo non ha il coraggio di rispondere in modo positivo all'invito di Gesù a diventare suo discepolo. Efficacissima la descrizione di Marco che mostra da una parte il sincero rincrescimento dell'uomo, ma dall'altra la sua incapacità a comprendere pienamente il valore dell'insegnamento di Gesù, verso il quale pur si sente attratto. È per lui una richiesta impossibile a compiersi. 

 

SECONDO QUADRO

v. 23

«Gesù, volgendo lo sguardo attorno, disse ai suoi discepoli: «Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!».

«volgendo lo sguardo attorno»: come in altre occasioni Gesù si guarda attorno, quasi a voler richiamare l'attenzione dei presenti sull'importanza di ciò che sta per dire. 

«Quanto difficilmente...»: Già nell'A.T. troviamo qualche avvertimento diretto a far riflettere sulla difficoltà a mettere insieme giustizia (in senso biblico) e ricchezza (cf. Sir 31,5-14).

Su questo tema insiste molto Luca (cfr 3,11; 6,30; 7,5; 11,41; 12,33-34; ecc.).

vv. 24-27

«24I discepoli erano sconcertati dalle sue parole; ma Gesù riprese e disse loro: «Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio! 25È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio». 26Essi, ancora più stupiti, dicevano tra loro: «E chi può essere salvato?». 27Ma Gesù, guardandoli in faccia, disse: «Impossibile agli uomini, ma non a Dio! Perché tutto è possibile a Dio».

«I discepoli erano sconcertati»: Per altri passi in cui Marco usa il termine thambéō vedi 1,27 e 10,32. Lo stupore dei discepoli probabilmente è causato dal presupposto comune che la ricchezza è un segno del favore e della benedizione di Dio (vedi Dt 28,1-14).

«Figli, quanto è difficile entrare nel regno di Dio!»: Questo è l'unico passo in Marco in cui Gesù si rivolge ai discepoli chiamandoli «figli» (tékna); ma vedi 2,5, dove il singolare téknon è rivolto al paralitico in senso affettivo. Mentre il v. 23 parla della difficoltà per i ricchi a entrare nel regno di Dio, il v. 24 è un'affermazione generale della difficoltà di entrare nel regno per chiunque.

«È più facile che ...»: in modo tipicamente orientale Gesù non disdegna di utilizzare immagini forti e iperboliche (cf. Mt 7,3-5; 23,24). Vari commentatori hanno cercato di attenuare la gravità del detto di Gesù proponendo di leggere kamilon («corda») a kamelon («cammello») o vedendo nella "cruna di un ago" il riferimento a una porta angusta e bassa che si sarebbe trovata in Gerusalemme. Tentativi inutili e lontani dal pensiero dì Gesù: la salvezza è esclusiva opera di Dio e della sua Sapienza e Bontà.

«Essi, ancora più stupiti»: L'accresciuto sbigottimento dei discepoli deriva dunque dall'affermazione generale di Gesù nel v. 24 e dal suo detto riguardo al cammello nel v. 25. Se i ricchi, che hanno il tempo e i mezzi per osservare i comandamenti di Dio e la possibilità di poter fare l'elemosina, trovano tanto difficile potersi salvare, quanto più difficile sarà per chiunque altro!

«E chi può essere salvato?»: Gesù ha portato i discepoli a porgli la domanda teologica più fondamentale riguardo all'entrata nel regno di Dio e nella vita eterna. Essi sono costretti a riconoscere il carattere di «donazione» della salvezza e il fatto che l'iniziativa parte da Dio.

 

«Impossibile agli uomini, ma non a Dio!»: La presenza di questo detto con la sua connotazione positiva («tutto è possibile a Dio») sposta l'insegnamento di Gesù riguardo all'entrata nel regno di Dio dall'enfasi su ciò che l'uomo deve fare (vedi i vv. 19 e 21) al riconoscimento del fatto che è Dio che dà corso al processo della salvezza e che invita la gente a entrare nel regno (come in 10,13-16). Qui si può scorgere un'eco di Gen 18,14 («C'è forse qualche cosa impossibile per il Signore?», vedi anche Gb 10,13; 42,2; Zc 8,6).

 

TERZO QUADRO

vv. 28-30 - I discepoli non sono ancora convinti del tutto e avendo abbandonato tutto per seguire il Signore, si propongono come candidati per un premio. Il solito Pietro prende la parola per i discepoli meditabondi, e timidamente avanza per sé e per i suoi confratelli la candidatura alla salvezza: vedi, Signore, noi ormai abbiamo rinunciato proprio a tutto (Mc 1,18.20), e certo non dice: dunque noi stiamo a posto, perché gli resta un dubbio, e vuole che glielo dica il Maestro (v. 28). E il Maestro risponde e parla a tutti i discepoli in modo solenne, con l’“amen” come premessa, enunciando le conseguenze della vocazione, dell’accettazione di essa. Lo spogliamento a causa di Lui e dell’Evangelo (v. 29), è relativo alla casa, alla famiglia, ai terreni. Chi ha abbandonato questi beni veri, che sono anche dei valori reali, ne riceverà, ovviamente in altra forma, cento volte altrettanto «adesso e in questo tempo». La risposta di Gesù è simile alla chiamata per il ricco: aver abbandonato tutto merita un premio grande da parte di Dio, certamente!

Ma non basta, il Signore lascia per ultimo l’avviso crudo: riceverà tutto quello «insieme con persecuzioni», da accettare. E poi, ma dopo tutto questo, nel secolo e mondo che viene, riceverà la vita eterna. (v. 30).

Tale premio adesso è cento volte (grande quantità) quanto è stato lasciato «sotto forma di persecuzioni» e poi la vita eterna.

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