XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

Rabbunì, che io veda di nuovo!

XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

Il Vangelo che sarà proclamato domenica prossima ci presenta l’episodio dell’ultimo miracolo compiuto da Gesù, se non consideriamo quelli che raccontano Matteo e Luca (Mt 21,14, «Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì»; Lc 22,22, quando Gesù guarisce la ferita inferta da uno dei suoi discepoli all’orecchio del servo del sommo sacerdote).

Il miracolo è la guarigione del cieco Bartimeo. Questo brano fa da transizione dalla sezione riguardante il viaggio di Gesù verso Gerusalemme, alla nuova sezione che si svolgerà totalmente a Gerusalemme e nei suoi dintorni. In questo piccolo brano, Marco riesce a inserire dei tratti comuni con quello che precede e con quello che segue. Se fino a ora, quelli che seguivano Gesù - compresi i discepoli più vicini a lui - hanno mostrati tutta la loro fatica a comprendere quanto stava per accadere, ora troviamo molti che cercano di zittire Bartimeo che grida «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». Nella sezione precedente, il tale (giovane ricco) che domandava cosa fare per avere in eredità la vita eterna, davanti alla richiesta di Gesù di lasciare tutto e seguirlo, se ne va, Qui Bartimeo dopo aver udito «la tua fede ti ha salvato», è guarito e «prese a seguirlo per strada». All’inizio della parte precedente, all’inizio del suo percorso verso Gerusalemme,  Gesù aveva guarito un altro cieco, ma la sua guarigione era stata più laboriosa, tanto che per due volte dovette imporre le mani sui suoi occhi: invece di vedere chiaramente gli uomini, quel cieco vedeva «alberi che camminano» (Mc 8,24). Ora, quasi alle porte della città santa, per guarire Bartimeo non serve più il gesto dell’imposizione delle mani, ma solo la fede è necessaria.

Possiamo dire che la guarigione di Bartimeo non è più una storia di miracoli, ma è in primo luogo una catechesi sulla fede. La fede, infatti, viene richiesta da Gesù, ed è questa che guarisce il cieco, senza che nemmeno Gesù, questa volta, lo tocchi. 

Esaminiamo il brano

 vv. 46-48

 46E giunsero a Gerico. Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla, il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. 47Sentendo che era Gesù Nazareno, cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!». 48Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte: «Figlio di Davide, abbi pietà di me!».

«Giunsero a Gerico»: Un dettaglio curioso è il fatto che in 10,32 si parlava di «salire verso Gerusalemme», ma per arrivare a Gerico è stato necessario soprattutto scendere: Gerico è a circa -256 metri sotto il livello del mare (la città più bassa del mondo). Dal versetto 10,32 al 10,46, si è continuamente scesi e, ricordando le conversazioni, Gesù ha condotto i suoi verso il punto più basso, più umile. In 10,45 si dice: «il figlio dell’uomo è venuto per servire e dare la sua vita...». È il punto più estremo della discesa. San Benedetto scrive nella sua Regola al cap. 3: «Noi saliamo scendendo», presentando la scala dell’umiltà. È lo stesso nella scala iniziatica di Gesù: «Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». Gesù deve aver posto questa domanda nelle vicinanze della località ch conduce al Giordano e al luogo del suo battesimo - all’acqua corrente più bassa sul nostro pianeta (cf. 1,4-9).

La città di Gerico ha poi sicuramente un forte richiamo all’Antico Testamento: lì un altro Gesù, il «Giosuè» del libro che porta il suo nome - in greco il nome è identico, Ἰησοῦς (Iēsoûs), ha attraversato il Giordano e ha conquistato la città, primizia della grande conquista di tutta la terra promessa. Gerico era la città inespugnabile che non si riusciva ad abbattere, così come la nostra cecità: se non cade questa cecità non si entra nella terra promessa. Giosuè conquistò la città, suonando le trombe e girandole attorno, cioè non con le armi. Quando la distrussero, Giosuè disse Maledetto chi ricostruirà Gerico e risulta la città più ricostruita del mondo: c’erano già degli insediamenti del ventimila a.C. e si ricostruisce sempre sopra, come la nostra cecità.

«Mentre partiva da Gerico»: Gesù arriva a Gerico per uscirne immediatamente. Si parla di “nervosismo narrativo”, nel quale si passa il più rapidamente possibile alla tappa successiva: salire a Gerusalemme. Ma questo slancio sarà spezzato dalla sorpresa dell’incontro con Bartimeo. 

«Mentre partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla»: Gesù è attorniato da un doppio cerchio, i discepoli e una folla numerosa. Il cieco dovrà attraversare questi due cerchi se vorrà raggiungere Gesù in persona.

«Il figlio di Timeo, Bartimeo, che era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare»: Ecco la proposizione principale, con il nuovo protagonista, messo bene in risalto, con il nome proprio espresso prima in greco e poi ripetuto (in parte) in aramaico, la sua condotta di mendicante e di cieco, seduto come da sempre sul ciglio della strada - strada o cammino così caratteristico di tutta la sezione.

«Il figlio di Timeo, Bartimeo»: Viene detto prima il nome greco e poi la traduzione aramaica (notevolmente “grecizzata”), Di solito Marco fa il contrario. Inoltre fatta eccezione per Giairo (5,22), questa è l’unica volta che Marco chiama qualcuno per nome, a parte il nome di Gesù e dei suoi discepoli unitamente a Giovanni Battista ed Erode (Antipa), fino a quando non inizi il racconto della passione. È davvero un'eccezione conoscere il nome del malato guarito nei Vangeli; Marco è l'unico a fornirci questo nome, che probabilmente doveva essere conosciuto nell'ambiente della primitiva comunità cristiana. L'articolo ''il" indica inoltre che era noto anche a chi frequentava Gerico.

«Dire»: il verbo è necessario per indicare che il «gridare» non dipendeva da dolore o da altro sentimento, ma dalla necessità di farsi sentire da Gesù, circondato dalla folla. Una necessità per superare il brusio della folla e far così intendere al Maestro la sua richiesta.

«Figlio di Davide, Gesù»: È l'unica volta che Marco riferisce questo appellativo a Gesù; è un titolo messianico che ben conosciamo (cf. Mt 9,27; 12,23; 15,22; 21,9,15). Con la titolatura "Figlio" tre sono le definizioni applicate a Gesù dal N.T.: "Figlio di Dio", "Figlio dell'uomo" e, appunto, "Figlio di Davide".

Alla base del titolo «Figlio di Davide» c'è un rimando all'attesa messianica d'Israele che aveva come punto di riferimento l'alleanza tra il Signore e la discendenza davidica, alleanza formulata solennemente nel celebre oracolo del profeta Natan(2Sam 7). Sulla base di questa promessa il Messia era atteso come discendente del casato di Davide e quindi poteva essere invocato come "Figlio di Davide". Matteo sottolinea questa discendenza davidica di Gesù nella lunga genealogia che pone in apertura del suo vangelo (1,1).

Gesù, però, nei confronti di questo titolo si rivela piuttosto cauto e persino reticente: si legga il passo di Mt 22,41-46 in cui, polemizzando con i farisei, Gesù contesta la formula nel suo tenore immediato. Il rischio di un'interpretazione messianica politico-nazionalistica era sempre in agguato e Cristo era attento ad allontanare questo rischio. Tuttavia Bartimeo nella sua condizione misera conserva grande lucidità, è un Ebreo, che attende il promesso Discendente di Davide, che finalmente abbia pietà del suo popolo e lo riscatti dalla sua abiezione presente. Quando senza vedere sente che sta passando «Gesù il Nazareno», comprende che il Figlio di David è giunto. Forse gli altri non vi pongono mente, ma Bartimeo perdendo la vista ha sviluppato l’udito e la memoria. In sinagoga ha prestato la fine attenzione dei ciechi alle letture della Legge santa e dei Profeti. Ha prestato attenzione a Isaia, quando annunciava che sarebbe sorto un Ramoscello dal ceppo abbattuto di Iesse, il padre di Davide, e un Virgulto sarebbe fiorito dalla sua Radice (Is 11,1), e su Lui si sarebbe posato lo Spirito del Signore con i suoi 7 Doni (v. 2), e avrebbe riportato sulla terra le condizioni originali dell’Eden (vv. 3-10). Ma si sarebbero volti verso il Virgulto della Radice, il Discendente di Davide, anzitutto i poveri e pii del popolo santo (v. 11). Ecco uno dei più poveri, questo cieco abbandonato e tuttavia pio e attento, che ha la mente alla divine profezie, e sta attento a chi passa, è riempito all’improvviso di un impulso nuovo nella fede antica, e in Gesù «il Nazareno», dunque il Virgulto!, con i suoi vivissimi occhi dell’anima, sempre accesi di ardore di fede, individua con tremenda precisione il Figlio di David, e lo invoca come tale, e “gridando” con tutte le sue forze lo supplica di avere misericordia per lui (Mc 10,47). «Gesù, Figlio di David, abbi misericordia di me» è il nucleo di quella che poi sarà la «preghiera continua» o «del cuore» in uso tra gli Ortodossi (cf. Racconti di un Pellegrino Russo).

«Abbi pietà di me!»: lo stesso Signore pietà o Kyrie eleison che si usa ancora nella liturgia. 

«Molti lo rimproveravano perché tacesse»: la «molta folla» (v. 46) sembra non sopportare il grido del "bisognoso"; alcuni forse pensano che Gesù non voglia essere importunato, altre volte si è rifiutato di operare miracoli! Il fatto che Bartimeo non tenga conto dei rimproveri ma gridi ancora più forte è indice della sua profonda fede e fiducia in Gesù. Bartimeo infatti non si lascia zittire; è il grido dell'ultima speranza, se è il figlio di Davide colui che sta passando. Dal momento in cui ha avuto il coraggio di gridare, ora grida ancora più forte allorché tutti pretendono di chiudergli la bocca.

 

v. 49

49Gesù si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Alzati, ti chiama!».

 

«Chiamatelo»: l'insistente e fastidioso gridare del cieco ferma Gesù, e tutto si ferma per un istante, il racconto sta per cambiare rotta. Gesù, tuttavia, non si accosta ma dice di chiamarlo. Luca scrive invece: «ordinò che glielo conducessero» (18,40). Gesù mostra dunque la sua autorità costringendo quelli che cercavano di zittire Bartimeo nel v. 48 (forse i suoi stessi discepoli come in 10,13) a fungere da suoi messaggeri.

È la folla a separare l’uomo da Gesù e Gesù dal cieco; ed è grazie alla folla che Gesù può raggiungere il mendicante e il cieco può sapere che passa Gesù e raggiungerlo gridando ancora più forte della folla.

Il verbo coraggio (tharséō) è stato usato in Mc 6,50 quando Gesù ha incoraggiato i suoi discepoli spaventati dal vederlo camminare sull'acqua.

«Alzati»: egeírō è il verbo che sovente ha la connotazione di risurrezione (cf. 1,31; 2,9.11.12; 5,41; 16,6; ecc.). 

«Ti chiama»: Gesù aveva detto «chiamatelo»; essi traducono «ti chiama!». Bella trasformazione del messaggio, che rafforza il ruolo di mediazione della folla fra Gesù e il cieco. Questo piccolo dialogo evoca certamente ciò che avviene in una seduta d'iniziazione, nella quale tutto i gruppo incoraggia l’iniziando a superare le prove e ad andare fino in fondo a ciò che gli viene proposto.

 

vv. 50-52

«50Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù. 51Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!». 52E Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato». E subito vide di nuovo e lo seguiva lungo la strada.»

 «gettato via... balzò in piedi»: In due soli versetti (49-50) si contano dieci verbi, per dire l'intensità di movimento che l'evangelista concentra in questa sosta di Gesù nell'incontro con Bartimeo. È un incontro personalizzato, è una «chiamata», alla quale il cieco risponde di scatto. L’uomo, cieco e mendicante, affronta tutti i rischi, getta via il suo mantello, balza in piedi e viene da Gesù.

«il mantello»: per presentarsi a Gesù il cieco si libera dal mantello, e non si tratta di un particolare trascurabile, richiesto dalla manovra di spostamento che deve compiere, lui che non vede. Il gesto di liberarsi dal mantello esprime qualcosa di più, se si considera ciò che segue al miracolo, cioè la salvezza e la sequela. Col mantello gettato via Bartimeo si libera del suo passato; il mantello è come un simbolo di ciò che si è e si ha: rappresenta un patrimonio che può essere dato in pegno (Es 22,25), o può paragonarsi a una casa che si porta addosso; ma è anche il segno di una condizione di vita o d'una vocazione, come nel caso del mantello del profeta Elia raccolto da Eliseo (2 Re 2,13). A Gesù i soldati «gli misero addosso un mantello di porpora» (Gv 19,2) e, «dopo averlo schernito, lo spogliarono del mantello» (Mt 27,28). Con ogni probabilità il mantello stava sotto il poveraccio e serviva, tra l'altro, per raccogliere l'obolo; era il segno della mendicità. Il cieco Bartimeo, dunque, si presenta a Gesù senza il mantello, pronto a parlare ma anche a fare tutto ciò che il Maestro gli dirà. La sequela comporta necessariamente un lasciare qualcosa; Bartimeo, insieme al mantello, probabilmente ha scaraventato via anche le monete che aveva rastrellato in quel giorno.

 

«Allora Gesù gli disse»: Gesù reagisce, letteralmente «risponde» con una parola al linguaggio non verbale del cieco che è corso da lui

«Che vuoi che io ti faccia»: cf. 10,36 è la solita grandissima disponibilità ad ascoltare e ad accogliere tutti. Il dialogo esprime formalmente l’azione rituale. Il fatto che i battesimo sia stato chiamato molto presto una «illuminazione» trova in questo passo una sorprendente corrispondenza.

«Rabbunì»: nel testo greco leggiamo il termine originale aramaico, di cui Marco, contro il suo solito, non fornisce il corrispondente greco. Titolo dato a persone stimate per scienza e autorità, deriva da Rabbi e significa «mio maestro» o anche «mio grande»; ma nell'uso non sempre si avvertiva questa sfumatura di ossequiosità. È la medesima acclamazione di Maria Maddalena che riconosce il Signore, il Risorto (Gv 20,16).

«Che io riabbia la vista»: è un miracolo degli occhi. Bartimeo era uno dei tanti ciechi, che s'incontravano lungo le strade della Palestina del tempo di Gesù, poiché la cecità era una malattia endemica assai diffusa. Tuttavia la cecità ha un significato messianico nel senso che in molti testi dell'AT., come del resto nei Vangeli, ridare la vista ai ciechi costituisce un segno del tempo messianico. Gesù stesso, infatti, ai discepoli del Battista che vogliono sapere se è lui il Messia, risponde: «Andate e riferite a Giovanni ciò che avete visto e udito: i ciechi riacquistano la vista» (Lc 7,22).

«Va’, la tua fede ti ha salvato»:  Co questo verbo «Va’» Marco reintroduce del movimento nel racconto e la reazione dell’uomo, che ora non trova nulla di meglio che seguire Gesù sulla sua strada. 

«La tua fede ti ha salvato»: La formula di Gesù è fondamentale; è come dire: Sulla base della fede tua in un certo senso tu ti sei guarito da solo. Ma la fede è dono divino, è dono trasformante. Accettare la fede e l'azione trasformante, è solo collaborare con Dio.

Qui la guarigione viene effettuata senza nessun comando né contatto fisico (confrontare con 8,22-26). C'è la semplice dichiarazione di Gesù che la fede di Bartimeo l'ha «salvato» - un verbo che può riferirsi a una guarigione sia fisica che spirituale. Ricordiamo la stessa dichiarazione di Gesù nell'episodio della donna guarita dall'emorragia in Mc 5,34.

«si mise a seguirlo»: il termine scelto dall' evangelista indica l'azione del seguire sia in senso fisico (cf. 3,7; 5,24; 6,1; ecc.) sia in senso spirituale, come per gli apostoli e gli altri discepoli (cf. 1,18; 2,14-15; 8,34; ecc.).

In sinagoga, quando lo accompagnavano e di certo lo relegavano alla parete di fondo, “il figlio di Timeo” ha ascoltato la Legge santa e i Profeti e pregato i salmi. Ecco dunque un altro discepolo che ha pregato chissà quante volte:

«Poiché presso Te sta la Fonte della Vita,
e nella Luce tua noi vedremo la Luce» (Sal 35,10).

È con questo povero mendicante cieco che Marco realizza il ritratto del discepolo che corre il rischio di percorrere fino in fondo la strada al seguito di Gesù. In definitiva, il suo eroe più grande non è Pietro, Giacomo, Giovanni, né nessun altro dei Dodici, ma un povero, seduto sul ciglio della strada

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