II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Lectio II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C

Dopo la celebrazione della festa del Battesimo del Signore ci immergiamo nel Tempo Ordinario, che non significa un tempo meno importante di quello che abbiamo da poco concluso, dell’Avvento prima e del Natale poi. Ancora una volta abbiamo la possibilità di seguire Gesù, il quale muove i primi passi nella sua vita pubblica e ci invita ad ascoltare la sua Parola e ad imitare i suoi gesti. Ma perché questo accada in noi e nel nostro oggi, occorre imparare a contemplare ogni brano di Vangelo che la Chiesa ci propone con gli occhi di Maria, la tutta santa, che in questo brano si veste di mediatrice di grazia per una coppia di sposi. Invochiamo lo Spirito Santo perché sintonizzi il nostro cuore per accogliere la Parola di vita che fra poco ascolteremo:

Spirito santo, ti supplico: vieni a me, inebriami del vino del tuo amore. Ricolma il mio cuore della tua soavità, così che nessuna gioia, nessuna terrena delizia, possano ormai appagarmi ma aneli a Dio con tutto il cuore e tutto me stesso. Concedimi che, consumato dal fuoco dell'amore divino, io mi immerga interamente in Dio e in tale beata unione divenga simile a Lui. Amen.

Adesso ci mettiamo in attento ascolto del brano di Vangelo di questa II Domenica del Tempo Ordinario, non tanto e solo per capirlo con la mente ma per comprenderlo con il cuore e viverlo nella nostra vita. Dopo questa lettura d’insieme, forniremo un possibile schema e proveremo a fare alcune sottolineature che ci aiutano ad entrare meglio per testo per comprenderlo e viverlo.

Il terzo giorno, vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli.

Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono.

Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».

Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Il segno di Cana (Gv 2,1-11), efficace, nella sua brevità si divide in tre parti con una introduzione (vv. 1-2) ed una conclusione di fondamentale importanza teologica (v. 11). Le tre parti, ben bilanciate sono: il dialogo di Maria con Gesù (vv. 4-5), il dialogo di Gesù con i servi (vv 6-8) e il dialogo del maestro di tavola con lo sposo (vv. 9-10).

 Il terzo giorno

 Diversi autori vi cercano un senso simbolico. Nel seguire la cronologia (Gv 1,29.35.43), si può intendere il terzo giorno dopo la chiamata di Filippo e Natanaele. Pertanto le nozze di Cana hanno luogo nel settimo giorno del racconto della nuova creazione. Infatti cominciando a computare da 1,19, vediamo concludere nel nostro brano la prima settimana del ministero di Gesù, corrispondente alla settimana della creazione di Gen 1-2,4a (l’unico argomento a favore è Gv 1,1.3.5). Si tratta di una cronologica simbolica e non storica.

Altri suppongono un riferimento implicito alla risurrezione: il terzo giorno (2,19-20), dove la gloria del Signore è manifestata tre giorni dopo la morte. 

C’era la madre di Gesù

 È un titolo d’onore; segno che l’episodio narrato proviene da un ambiente che già venerava Maria, madre di Gesù. Maria viene presentata non soltanto nel suo carattere storico ma anche nel ruolo che le è stato assegnato nella storia della salvezza. Se Gv ha visto nei sette giorni precedenti lo svolgersi di una nuova storia della creazione, egli ha pure riservato in questa storia una funzione particolare per colei a cui è stato rivolto l’appellativo di donna. La donna della prima creazione fu chiamata Eva perché essa era la madre di tutti i viventi (Gen 3,20). Maria è la madre non solamente della Parola fatta carne, ma anche di tutti coloro che vivono della sua vita (14,19 s.). Essa è, in altre parole, un’immagine della Chiesa, la nuova Eva, come la chiamano i Padri.

 Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino».

 La festa di nozze poteva durare anche una settimana e secondo gli usi del tempo anche gli invitati portavano in dono del vino, data la quantità richiesta. In questo caso Maria chiede indirettamente a Gesù di compiere un suo preciso dovere. La madre non chiede un miracolo, ma gli presenta semplicemente la situazione di necessità. È chiaro però che questo suo intervento è l’occasione che provoca il compimento del segno da parte di Gesù.

 Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora».

La risposta di Gesù letteralmente suona: “Che cosa a me e a te, o donna?”. È un’espressione che si trova nell’A.T. (Gdc 11,12; 2Sam 16,10; 19,23; 1Re 17,18; 2Re 3,13; 2Cr 35,21), nel N.T. (Mc 1,24; 5,7; Mt 8,29; Lc 4,34; 8,28) ed anche nella letteratura rabbinica ed ellenistica. Non significa un rifiuto e tanto meno un rifiuto scortese, ma una certa distanza, nel nostro caso motivata da ciò che segue: Non è ancora giunta la mia ora. Il tempo dell’attività significativa di Gesù in ordine alla salvezza è determinato dalla volontà del Padre e non da quella degli uomini.

Il fatto che Gesù chiami sua madre donna, anche se non è documentato in ambiente giudaico, è tuttavia normale e gentile (cfr. Mc 1,24; 5,7; Mt 8,29; Lc 4,34; 8,28); per di più va tenuto conto che anche in Gv 19,26 Gesù si rivolge nello stesso modo a sua madre, così come con altre donne, sempre nel quarto vangelo (4,21; 8,10; 20,13.15). Potrebbe darsi che questo uso strano sia guidato da un motivo teologico, che rimanda a Gen 3,15.

Il termine ora ricorre 26 volte in Gv ed ha spesso un senso qualitativo, indica cioè un tempo ben determinato ed importante nella vita di Gesù L’ora è a volte considerata futura, a volte già arrivata. L’ora di Gesù è quella del suo ritorno al Padre, della sua morte, identificata da Gv con la sua glorificazione. Il problema, che qui si pone, è se l’ora di cui Gesù parla sia quella della sua morte-glorificazione o quella della manifestazione della sua gloria mediante l’inizio dei segni, già durante la sua vita terrena. In realtà, la rivelazione della gloria di Gesù nei segni manifesta Gesù già come attuale Salvatore ed orienta alla glorificazione ultima sulla croce, in cui diventerà il salvatore del mondo ed attirerà tutti a sé. Le due ore si potrebbero considerare non in alternativa, ma coordinate.

Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela».

Il comportamento di Maria indica che essa non interpretò le parole di Gesù come un netto rifiuto. Maria si rivolge ai servi usando le parole di Gen 41,55. Infatti, nel comando dato ai servi, la madre di Gesù esprime la sua fiduciosa completa disponibilità nel rimettersi pienamente alla volontà del Figlio, e quindi a quella del Padre, secondo la indicazione che traspare dalla risposta a lei data.

 Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta a centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo.

L’usanza giudaica richiedeva delle abluzioni cerimoniali prima e dopo i pasti. Gv allude a questo rituale al fine di spiegare la presenza di una così enorme quantità di acqua. Tale circostanza, inoltre, gli permette di mettere in risalto come l’avvento del Cristo poneva fine ad un certo ritualismo giudaico. Le sei giare contenevano in tutto circa 6 ettolitri di vino, una quantità considerevole, intenzionalmente sottolineata anche da fino all’orlo. Ciò vuol significare l’abbondanza e la bontà dei beni messianici, simbolicamente rappresentati in questo segno.

 Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».

 Ai conviti pagani uno degli invitati assumeva di solito la posizione di maestro di tavola come segno d’onore. La familiarità con cui il capotavola parla allo sposo in questa occasione potrebbe essere un’indicazione che anche presso i giudei era invalsa una simile usanza.

Da dove ha carattere cristologico in Gv. La domanda da dove è il dono conduce alla domanda da dove è il donatore (4,11; 6,5; 7,27-28; 8,14; 9,29-30; 19,9), e quindi alla origine divina di Gesù.

Non si trova nell’antichità nessuna norma come quella ricordata dal direttore di mensa dello sposo. L’osservazione umoristica finale vuole solo esaltare la bontà del vino procurato prodigiosamente da Gesù. Viene resa testimonianza all’eccellenza del nuovo vino da chi non sapeva nulla della sua provenienza e non poteva perciò essere vittima di qualche suggestione.

Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù;

Questo v. finale è il commento teologico del redattore. Nell’insieme fa risaltare il carattere cristologico del fatto, che è l’inizio dei segni, la rivelazione della gloria, il motivo della fede dei discepoli.

Segno è la parola caratteristica nel vangelo di Gv per indicare i miracoli di Gesù (lo usa 17 volte), insieme a opere, più spesso nella bocca di Gesù. E vuol esprimere il carattere cristologico-rivelatorio dei miracoli, mentre opere ha un carattere più spiccatamente apologetico. Il segno è un simbolo storico, che rivela ciò che Gesù è mediante ciò che Gesù opera: il Salvatore escatologico, datore dei beni messianici, pane di vita, luce del mondo, vita e risurrezione. A volte le indicazioni cristologiche del segno si trovano all’interno dell’episodio (come in questo miracolo a Cana), altre volte vengono sviluppati in discorsi di autorivelazione (come al cap. 6). Questo inizio dei segni ha insieme carattere apologetico (motivo di fede) e rivelatorio (rivela che Gesù è il Messia aspettato).

Sono chiamati segni non soltanto perché sono operati allo scopo di rafforzare la fede, ma anche perché essi ci presentano Cristo per quello che è: essi ci descrivono la sua vera personalità. Infatti Gv ha scelto sette segni per illustrare la personalità di Gesù con una chiarezza sempre maggiore.

egli manifestò la sua gloria

 La gloria che Gesù rivela è insieme potenza di salvezza e splendore della sua divinità, che traspare nella persona dell’Unigenito del Padre. Questa gloria è visibile solo agli occhi della fede. Ma il miracolo dell’acqua mutata in vino potrebbe anche non apparire un’ovvia indicazione della gloria di Cristo; va comunque preso per quello che è nel piano di Gv, come cioè il primo di una serie di segni che sono tutti rapportati alla vita racchiusa nella Parola di Dio. In quanto miracolo creativo, gli è appropriato il primo posto nella serie.

 e i suoi discepoli credettero in lui.

I discepoli si sono ora trovati di fronte a qualcosa di molto più grande di quello che era stato additato dal Battista. Con questo nuovo potere creativo manifestato ora in Gesù, i discepoli hanno superato quella fase della storia della salvezza che era rappresentato dal Precursore.

Alcune considerazione riassuntive e conclusive. Con narrazione di questo segno l’evangelista intende scrivere un brano di storia. Ciò tuttavia non gli impedisce di sfruttare le potenzialità teologiche dell’episodio; così facendo, egli mostra che per lui questo aspetto è più importante del semplice racconto di un miracolo. Nel sottolineare che l’acqua sostituita da Gesù col vino era acqua per la purificazione rituale dei Giudei, egli ci fa veder uno dei tanti modi in cui Cristo ha rimpiazzato le antiche istituzioni del giudaismo. Il modello standard così stabilito sarà ripetuto in altri episodi. Che il primo modello sia stato realizzato a una festa nuziale è per ciò stesso significativo, in considerazione dell’immagine veterotestamentaria d’Israele visto come sposa di Dio (Os 2,21 s.; Ger 2,2; Is 54,5 s.). Questa immagine si sviluppò nel giudaismo fino al punto da vedere in una festa nuziale il simbolo dell’era messianica (cfr. Mt 9,15). In tale contesto, diventa abbastanza ovvio che Gv si sarebbe aspettato dai suoi lettori cristiani che facessero un’ulteriore associazione nel riflettere sul simbolismo di questo episodio della vita di Gesù. L’interesse sacramentale che Gv mostra di avere altrove (3,5; 6,51; 1 Gv 5,6) legittima la conclusione ch’egli intenda qui farci pensare all’Eucaristia. Questo è probabilmente anche il motivo per cui egli accosta così da vicino questo episodio alla Pasqua giudaica (v.13), come fa con l’altro episodio eucaristico della moltiplicazione dei pani (cfr. 6,5), per ricordarci che il sacrificio eucaristico è la pasqua cristiana (cfr. 12,1; 1 Cor 5,7). Visto in questa luce, il segno di Cana appare come qualcosa di molto più grande di un semplice miracolo fra i tanti operati da Cristo nella sua vita pubblica. È, al contrario, un segno nel senso più pieno del termine, uno dei sacramenti (= segni) in forza dei quali il cristiano riconosce mediante la fede e nella vita della Chiesa la presenza di quello stesso Cristo che era visibilmente presente nella carne in mezzo ai suoi discepoli (cfr. 20,29; 1 Gv 1,1).

  • Cosa dice a noi, oggi, il segno operato da Gesù a Cana durante una festa di nozze?
  • Perché Gv ha dato questo inizio al suo vangelo?
  • Come questo episodio mette in discussione l’immagine che abbiamo di Dio?

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