IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Lectio IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)

Il brano di vangelo di questa IV Domenica del T.O. è la continuazione di quello della Domenica precedente, infatti ne condivide un versetto che funge da attacco. Alle parole e ai gesti di Gesù corrisponde la reazione dei suoi interlocutori; il Maestro non si lascia infatuare e neanche intimidire, ma affonda il colpo mostrando il modo di agire di Dio che i profeti avevano ampiamente annunciato. La salvezza non è riservata al solo popolo eletto ma a tutte le genti e Lui, il Figlio, è stato mandato per rivelare tutto questo.

Adesso invochiamo il dono dello Spirito Santo perché possiamo disporci interiormente ad ascoltare e accogliere la Parola per avere in noi vita in abbondanza; inoltre chiediamo di non scandalizzarci di Gesù, ma facciamogli spazio dentro di noi, così come si mostra e si dona a noi. Mettiamoci alla presenza del Signore per accogliere Lui, Parola del Padre, e disporre il nostro cuore all’ascolto profondo.

Vieni, Spirito Santo,
vieni Spirito Consolatore,
vieni e consola il cuore di ogni uomo
che piange lacrime di disperazione.

Vieni, Spirito Santo,
vieni Spirito della luce,
vieni e libera il cuore di ogni uomo
dalle tenebre del peccato.

Vieni, Spirito Santo,
vieni Spirito di verità e di amore,
vieni e ricolma il cuore di ogni uomo
che senza amore e verità
non può vivere.

Vieni, Spirito Santo,
vieni, Spirito della vita e della gioia,
vieni e dona ad ogni uomo la piena comunione con te,
con il Padre e con il Figlio,
nella vita e nella gioia eterna,
per cui è stato creato e a cui è destinato.
Amen. 

Per comprendere il vangelo, che fra poco ascolteremo, occorre fare riferimento alla prima lettura (Ger 1,4-5.17-19) che ci fornisce le coordinate per leggerlo. Infatti si parla della vocazione di Geremia, il quale è conosciuto dal suo Signore prima di essere formato nel grembo materno ed è stato consacrato profeta delle nazioni prima che uscisse alla luce. Chiamato ad annunciare la parola del suo Dio, non deve temere gli avversari, in quanto il Signore lo renderà come una città fortificata, una colonna di ferro e un muro di bronzo contro tutto il paese, i re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese. Gli faranno guerra ma non lo vinceranno perché il Signore è con lui come Salvatore potente. Il profeta è invitato ad avere fiducia nel suo Dio, più forte dei suoi avversari e, quindi, a confidare in Lui, in quanto non rimarrà deluso: questo ci ricorda il Salmo che proclameremo.

 In quel tempo, Gesù, cominciò a dire nella sinagoga: "Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato".
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: "Non è costui il figlio di Giuseppe?". Ma egli rispose loro: "Certamente voi mi citerete questo proverbio: "Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!"". Poi aggiunse: "In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro".
All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

 Questo racconto sorprende per l’inspiegabile mutamento della folla, che passa dall’ammirazione all’animosità. Questa anomalia è forse il risultato di un’evoluzione letteraria. Un primo brano narrava la visita in una sinagoga con una predicazione coronata da successo, all’inizio del suo ministero (cfr. Mc 1,21s) a Nàzaret. Questo racconto è stato in seguito ripreso, sovraccaricato e posto più tardi nella vita di Gesù (Mt 13,53-58; Mc 6,1-6), per sottolineare l’incomprensione e il rifiuto che hanno fatto seguito al primo favore del popolo. Luca ha saputo trarre, da questo testo complesso, una pagina mirabile, che egli ha conservato all’inizio del suo ministero come una scena inaugurale, nella quale dipinge, in un compendio simbolico, la missione di grazia di Gesù e il rifiuto del suo popolo. 

Ma passiamo ad esaminare ogni singolo versetto per cogliere il messaggio di vita che si cela dentro questo brano.

Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato

Ecco un’affermazione fondante della predicazione di Gesù, una chiave di volta per la retta esegesi di tutto il vangelo. Quello che avviene ora, quello che vedete in me e sentite da me – dice implicitamente Gesù – non è altro che la realizzazione delle promesse antiche (il verbo al perfetto indica il compimento di un evento passato i cui effetti durano nel presente e Luca lo ripete più avanti in 9,51). Questa affermazione ci autorizza a credere che la profezia di Isaia rappresenta il nocciolo del vangelo che Gesù è venuto a portare nel mondo, ovvero un lieto messaggio il cui oggetto, negativamente, si chiama guarigione e liberazione, positivamente, si chiama libertà e grazia. 

Ancora possiamo dire come Gesù lascia da parte le sottigliezze dei soliti commentatori che si ispirano ai rabbini e va dritto all’intenzione dell’annuncio profetico. Oggi, come è vero che voi ascoltate, questo annuncio di liberazione per gli oppressi, questa buona notizia per i poveri, è una realtà! È finito il tempo delle parole – dice in sostanza Gesù – il tempo delle attese o promesse rimandate o rinnovate; qui e ora inizia il compimento. 

Giova anche ricordare come Luca sottolinei sovente l’oggi della salvezza (2,11; 5,26; 13,32; 19,9; 23,43).

Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: "Non è costui il figlio di Giuseppe?". 

 Non solo il tono, ma il contenuto e le pretese della predicazione di Gesù scatenano una duplice reazione: per alcuni le sue parole piene di grazia, ma per altri suscitano meraviglia, invidia, dubbi. I suoi compaesani comprendono che nelle parole nuove di Gesù non si tratta dei soliti slogan di propaganda religiosa, o delle pie elucubrazioni consolatorie; sono entusiasti di un discorso che rende palese l’amore gratuito di Dio, fa intuire la forza storica nuova di questa realtà. Ma non può essere un’illusione tutto questo, una suggestione momentanea? Difficilmente l’uomo riesce a dar credito ad un futuro nuovo, diverso, che non rientri in qualche modo negli schemi o modelli familiari. E Gesù con la sua pretesa va fuori dalla norma. Quali garanzie di credibilità? È uno di loro, il figlio di Giuseppe. Lo stereotipo sociale non permette innovazioni di sorta. Luca non sta descrivendo il processo psicologico degli ascoltatori di Nàzaret, ma riproduce in miniatura le reazioni di accoglienza e di rifiuto che accompagnano tutta la vicenda di Gesù. Su questo sfondo si comprende il cambiamento brusco dei compaesani nei confronti di Gesù. L’oggi della salvezza per quelli di Nàzaret vuol dire: miracoli, attività guaritrice a favore dei malati di Nàzaret. Gesù farebbe bene, sembrano quasi suggerire, ad impiantare a Nàzaret una clinica taumaturgica negli interessi della sua causa: Medico cura te stesso.

Ma egli rispose loro: "Certamente voi mi citerete questo proverbio: "Medico, cura te stesso.

Luca pone sulle labbra di Gesù ciò che più verosimilmente sarebbe stato detto dai Nàzaretani: un proverbio ironico (che ha molti paralleli nella letteratura rabbinica: per esempio “Medico, cura te stesso che sei zoppo”), che però nel presente contesto fa corpo con quanto segue:

Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!

Secondo i suoi compaesani Gesù avrebbe dovuto ripetere nel suo paese, tutti quei miracoli che aveva operato altrove, in particolare a Cafarnao (si presuppone quindi una precedente attività di Gesù a Cafarnao: cfr. Mc 1,21-45). È una pretesa imperdonabile, suggerita più da curiosità che da invidia (non è che i Nàzaretani fossero così orgogliosi del loro compaesano da essere gelosi di Cafarnao), alla quale Gesù risponde con chiarezza e reagisce con fermezza. Evidentemente i miracoli di Gesù miravano a consolidare la fede nella salvezza messianica e non a fare violenza all’esterno sulla libertà della persona. 

In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria.

Facendo riferimento ad un altro detto corrente, largamente comprovato dall’esperienza, Gesù delinea quello che sarà il suo destino di profeta inascoltato, emarginato, squalificato. Egli va prospettando, fin d’ora, l’indurimento del popolo di Israele e la sua conseguente riprovazione, mentre apre una prima prospettiva sulla chiamata e sulla elezione dei pagani alla salvezza. 

È utile rilevare che questa affermazione di Gesù è la prima contrassegnata dal solenne inizio In verità io vi dico. L’intera frase introduce sempre una solenne dichiarazione pronunciata soltanto da Gesù nei vangeli, con riferimento alla manifestazione del regno di Dio che si realizzerà nei fatti pasquali e nella parusia.

Anzi, in verità io vi dico: c'erano molte vedove in Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non a una vedova a Sarepta di Sidone. C'erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro.

A conferma della prospettiva universalistica contenuta nelle parole di Gesù viene portato l’esempio di Elia e di Eliseo (cfr. 1Re 17,1 s.; 2Re 5,14 s.). È solo Luca a fare questo riferimento con il quale Gesù intende non tanto documentare la sua affermazione, quanto mostrare che già gli antichi profeti hanno dato la preferenza agli stranieri, e un profeta agisce sempre per mandato divino, che per divino volere la sua patria deve passare in seconda linea di fronte ai forestieri, anche quando si tratta di miracoli, che la libera elezione di Dio non ha alcun riguardo a vincoli di parentela o di patria (cfr. Mc 3, 31-35).

Anzi lo stile di Dio è contro queste limitazioni del clan religioso e contro queste pretese monopolistiche. Egli sceglie quelli di fuori, va a portare la salvezza ai lontani, agli estranei.

All'udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

La conclusione dell’episodio è scritta in un linguaggio assai simile a quello usato per descrivere il rifiuto di Stefano (At 7,58) e di Paolo (At 13,50). Evidentemente Luca vede la storia universale della Chiesa già realizzatasi in Gesù poiché è lo spirito di Gesù che è responsabile di tutto quanto accade nella Chiesa. Ma questo primo attentato contro Gesù nel suo paese è solo un avvertimento della situazione conflittuale e contraddittoria  in cui viene a trovarsi il profeta di Nàzaret (cfr. 2,34-35). 

Nàzaret, edificata sul fianco di una collina, aveva parecchie rupi scoscese, cadendo dalle quali si poteva anche morire. Qualcuno, invece, sottolinea come questo riferimento ad un monte non corrisponda molto alla geografia di Nàzaret e sembra che Luca abbia forzato i propri dati per prefigurare l’uccisione di Gesù da parte di Israele. 

I Nàzaretani lo rifiutano e Gesù volta le spalle alla sua città. Gli evangelisti non conoscono altra visita di Gesù a Nàzaret. Nulla di miracoloso al v. 30, ma solo una indicazione offertaci da Luca: nessuno poteva fargli male perché non era ancora giunto il tempo della sua morte. Soltanto in 9,51, Luca ammette che si era compiuto per lui il tempo in cui sarebbe stato elevato in alto. L’essenziale per Luca è mostrare Gesù che prosegue il suo cammino: questo non si può arrestare che a Gerusalemme (13,33). La strada del vangelo di Gesù è chiaramente segnata: la buona notizia della salvezza o liberazione dei poveri passa attraverso la fedeltà di Gesù e la sua vittoria ultima sulla morte.

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