III Domenica di Quaresima (Anno C)

Ma se non vi convertite…

Lectio divina sulla Parola III Domenica di Quaresima (Anno C)

Il vangelo di questa III Domenica di Quaresima ci consegna un chiaro esempio di come Gesù leggesse i fatti di cronaca del suo tempo. Egli non si schiera con le parti contendenti, ma mostra la via nuova del vangelo che ci presenta sempre un accorato invito alla conversione. Lo sottolinea molto bene la preghiera di Colletta, che ci invita a leggere i segni dei tempi per dare inizio al tempo dei segni, con la nostra personale conversione, frutto della sequela del Signore Gesù:

O Dio dei nostri padri,
che ascolti il grido degli oppressi,
concedi ai tuoi fedeli
di riconoscere nelle vicende della storia
il tuo invito alla conversione,
per aderire sempre più saldamente a Cristo,
roccia della nostra salvezza.

 Accostiamoci con fiducia al brano di Vangelo che la liturgia ci consegna e accogliamo le parole, gli atteggiamenti, i sentimenti e le azioni del Cristo.

1 In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici.
2 Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte? 3 No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. 4 O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? 5 No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo».
6 Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. 7 Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. 8 Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. 9 Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

Un episodio di repressione, che reca il contrassegno della brutalità e del disprezzo del governatore romano Ponzio Pilato, ha suscitato orrore e sdegno negli abitanti di Gerusalemme. I soldati d’occupazione hanno ucciso un gruppo di pellegrini galilei mentre si apprestavano a sacrificare i loro agnelli o altre vittime in occasione della pasqua. Si trattava di simpatizzanti del movimento zelota, sorto precisamente in Galilea nell’anno 6 d.C., il quale propugnava la lotta armata contro l’occupazione romana. Coloro che riportano l’accaduto a Gesù vogliono senz’altro provocare un suo giudizio e una sua presa di posizione. Che cosa pensa del movimento zelota che conduce a questi orrori? Che cosa intende fare contro la brutalità e il cinismo delle forze di occupazione?
Gesù dà una risposta che apparentemente ignora questi problemi. Prima di tutto egli contesta il sistema farisaico e il conseguente pregiudizio religioso popolare che stabiliva una perfetta equazione tra peccato e castigo, e nel caso presente traeva questa conclusione: noi siamo giusti poiché non abbiamo meritato quella fine orrenda. L’uomo non può inquadrare l’azione di Dio nei suoi schemi precostituiti per il proprio privilegio e prestigio e trasformarsi in contabile di Dio. Questa pretesa genera il peggior imperialismo che può servirsi anche della violenza programmata per instaurarsi e conservarsi. In sostanza era questo lo sbocco dello zelotismo e del movimento farisaico nelle sue deformazioni: la supremazia religiosa e politica in nome di Dio. Gesù fa saltare alla radice questo tentativo invitando tutti, farisei, zeloti, galilei e abitanti di Gerusalemme, al cambiamento, alla conversione. L’unico modo di sfuggire alla rovina – e all’orizzonte si profila la catastrofe del 70 – è la trasformazione interiore e reale degli uomini, soprattutto la rinuncia ad autogiustificarsi prendendo il posto di Dio e sfruttando le disgrazie altrui.
A commento e rincalzo di questo invito rivolto a tutti, Gesù racconta una parabola che si innesta ancora nella tradizione profetica. Ai suoi uditori era familiare l’immagine del fico infruttuoso per indicare il comportamento infedele del popolo di Dio (cfr. Ger 8,13; Mic 7,1). Ma questa parola di Dio non vale solo per l’antico popolo, è ancora attuale. Nell’azione e nella parola di Gesù è offerta a tutti l’ultima occasione, una dilazione del giudizio (cfr. 3,9). Ma questo non deve diventare un alibi per rimandare “sine die” la propria decisione a cambiare. È interessante notare che l’invito di Gesù al cambiamento è riportato da Lc durante il viaggio a Gerusalemme. Nell’intenzione di Gesù è questo l’ultimo tentativo per cambiare la situazione? Egli spera nella conversione o cambiamento radicale del suo popolo? Certamente un Gesù che spera è preferibile a un Gesù pessimisticamente rassegnato. Del resto perché non dovrebbe prendere sul serio le possibilità della libertà umana anche per il bene?

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici.

Gesù viene messo al corrente di due fatti sconvolgenti, due grosse disgrazie: un massacro operato da Pilato e un incidente fortuito. Due sono i modi di ragionarci sopra: la gente, seguendo la concezione corrente della “retribuzione temporale”, era incline a pensare che Dio è giusto e se ha punito quelle persone vuol dire che esse erano peccatori; Gesù invece insiste nel dire che non è quello il modo di imparare la lezione dagli eventi. Rifiuta quella visuale così gretta e semplicistica (cfr. Gv 9,2) e dice che quegli uomini non erano peggiori degli altri. La disgrazia che è caduta su di loro è solo il segno del giudizio che incombe su tutti. Vi è un avviso di Dio per tutti, anche per noi. Urge convertirsi perché, si potrebbe dire, noi imponiamo un limite anche alla pazienza di Dio.
La storia ricorda parecchi interventi sanguinari di Pilato in Gerusalemme, anche se questo specifico episodio è riferito soltanto qui ed è sconosciuto nella storia profana. Purtroppo Giuseppe Flavio non ricorda questo eccidio, per cui si è sempre creduto di dover concludere che Lc l’abbia scambiato con un atto di violenza che Pilato aveva ordinato contro i Samaritani nell’anno 35 d.C., in occasione di un loro pellegrinaggio sul monte Garizim, dove sorgeva il loro tempio; il fatto causò una protesta dei Samaritani a Roma, con la conseguente destituzione di Pilato. Gesù non condanna Pilato, ma fa semplicemente un commento sulla colpa o meno di quelli che furono trucidati in quel modo.

… O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise…

Anche questo episodio è ignorato dalle fonti profane; forse si tratta della disgrazia capitata a 18 operai morti sotto le macerie di una delle torri costruite a guardia dell’acquedotto che portava l’acqua alla piscina di Siloe (cfr. Gv 9,7), a sud dell’angolo orientale di Gerusalemme. Gesù non intende qui dare il suo appoggio alle cospirazioni degli zeloti o alle operazioni terroristiche contro Roma; egli vuole solo concludere che è urgente pentirsi e fare penitenza.

Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte?...
Credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?

Gesù propone il suo insegnamento sotto forma di sfida. Vuol decisamente smantellare la loro falsa e farisaica posizione (per il fatto che essi non erano stati colpiti dalla disgrazia potevano anche dedurre di essere dei privilegiati).

No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.
No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.

Per ben due volte Gesù indica l’unica via per assicurarsi la salvezza, senza la quale vi è la morte eterna. È possibile vedere in queste parole di Gesù anche una profezia relativa al comportamento dei giudei nei suoi confronti? O addirittura una minaccia rivolta al popolo giudaico, come ci porterebbe a credere la parabola che segue? Il Signore ha atteso a lungo che Israele facesse frutti, ma invano (cfr. Gv 8,24).

Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò.

Lc riporta la parabola del fico, in un contesto diverso di quello di Mc 11,12-14 (maledizione del fico sterile durante la settimana santa) e Mt 21,18-22. Infatti per Lc la parabola è ancora un incitamento alla conversione, per Mc e Mt invece essa indica che il destino di Gerusalemme e di Israele è già segnato. Mt e Mc parlano di un miracolo di Gesù, Lc invece fa uso di una parabola. Mc e Mt parlano di un fico maledetto, Lc solo di un fico sterile, oggetto di nuove cure da parte dei suoi coltivatori e quindi oggetto di indulgenza e di misericordia.
Questa parabola riprende la classica minaccia contro l’albero improduttivo (cfr. 3,8-9; 6,43-44), ma vi aggiunge l’annuncio di un’ultima dilazione. In questo contesto l’appello alla conversione è chiaro e urgente. Il riferimento al popolo di Israele è chiaro: l’albero di fico era già ai tempi di Os 9,10; Mic 7,1; Ger 8,13 un’immagine di Israele molto in uso. Anche l’accenno alla vigna richiama Is 5,1-7 ed è una conferma della paziente attesa di Dio.

Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?

È possibile riconoscere in questa espressione un’allusione alla durata del ministero di Gesù, come ce la fa conoscere l’evangelista Giovanni? Non è certo; sarebbe un altro punto di contatto tra i due.

Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai

La misericordia di Dio è simboleggiata nel vignaiolo che scava tutt’attorno all’albero e lo concima con una cura tutta particolare (cfr. Os 9,10; Is 5,1-7; Gl 1,7). Gesù non crede che la risposta finale di Israele alla sua proposta sarà negativa. Due sono gli equivoci che, con questa parabola si vogliono sfatare: quello di chi pensa che ormai è troppo tardi e che la pazienza di Dio si è logorata nell’attesa, e quello di chi pensa che c’è sempre tempo e che la pazienza di Dio è senza limiti. La risposta è un’altra: Dio è certamente paziente, ma noi non possiamo programmare o fissare scadenze alla sua pazienza. Dio è disposto a concedere a Israele un anno di grazia (cfr. 4,19). Questo viene evidenziato anche dal fatto che la parabola viene interrotta prima della fine, in modo che non sappiamo che cosa sia avvenuto, alla fine, di quel fico. C’è ancora spazio per il ritorno di Israele: questa è la prospettiva di Gesù, secondo Lc.
A conclusione possiamo dire che la disgrazia di una politica che conduce alla violenza, alla repressione e alla morte (v. 1), la disgrazia di una civiltà che può schiacciare coloro che la costruiscono (v. 4) sono un segno della precarietà dell’uomo nel mondo. Questi esempi servirono a Gesù per far vedere che tutta la nostra vita è basata su un rischio: il giudizio di Dio che ci attende.
A questo rischio del giudizio si può rispondere con un solo atteggiamento, la conversione, che significa vivere aperti al mistero del regno come dono d’amore e come urgenza di un cambiamento, di una dedizione di amore gli uni per gli altri. Senza questo cambiamento, la morte giungerà a noi come una perdita, ovvero come distruzione della nostra vera realtà o come inferno. Se saremo convertiti, la morte fisica sarà una via verso il mistero, verso la vita di Dio che già abbiamo. Tale è la parola che Gesù rivolse a una moltitudine eccitata dal nervosismo degli avvenimenti politici e dall’incertezza dei pericoli che comporta la natura.
È sempre tempo di conversione. Vedendo le cose dal di fuori, pare che si siano ormai bruciate tutte le tappe. Dio ha avuto cura di noi molte volte, come si ha cura di un albero che pare incapace di dare frutti. Ma il giardiniere ne ha pietà. Dio ha pietà degli uomini e li cura sempre meglio per mezzo del messaggio e della speranza di Gesù. Se non corrispondiamo a queste cure, la scure della distruzione si abbatterà su di noi.
È sempre il tempo della grazia. Ma solo la presenza e l’opera di Gesù preservano il popolo dalla distruzione che sarà tanto più inesorabile quando il popolo ucciderà in Gesù un presunto nemico, mentre egli è ancora una volta la proposta della pazienza di Dio. E questo vale per l’uomo di sempre e, quindi, per noi che stiamo ascoltando adesso.

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