L'amore vero nasce e si nutre di tenerezza.
Di fronte ad una società che mette i sentimenti sul palcoscenico alla mercé di spettatori assetati di novità, siamo chiamati a crescere nella capacità di rientrare in noi per ascoltare il desiderio profondo di amore che ci abita.
Noi non siamo semplicemente ciò che proviamo, i nostri stimoli in entrata e in uscita, belli o brutti che siano, ma ci contraddistingue la libertà di dare e ricevere amore in un percorso graduale e progressivo che, inevitabilmente, presuppone soavità e premura nelle relazioni. Occorre imparare ad aspettare i tempi che la Vita ci detta e seguire il flusso vitale degli eventi. L'unico vero ostacolo alla manifestazione della Vita in noi siamo noi stessi.
Dobbiamo anche resistere alla tentazione di adeguarci al modello dominante del “così fan tutti”, che oggi comporta modi del tutto egoistici ed individualistici, per liberare il desiderio di tenerezza tanto vivo nel nostro intimo.
L'intimità non è un aspetto esteriore che si risolve coprendosi con dei vestiti, ma riguarda la possibilità di essere amati e di amare, fino al dono di sé stessi.
La tenerezza si nutre di gesti e di parole, di sguardi e di contatti delicati, che trasmettono rispetto e lasciano la persona sicura, ma anche di silenzi e di distanze. Può sembrare paradossale: la vera tenerezza si nutre di distanza più che di vicinanza.
In una società che punta tutto sul materiale e sull'esaltazione della fisicità, assoggettati alla legge del “tutto e subito”, condannati a consumare tutto ciò che cade sotto lo sguardo, comprendiamo come l'attesa e la distanza siano considerati valori obsoleti e lesivi della realizzazione personale. Eppure esse ci aiutano a fare verità, purificando le nostre intenzioni profonde e smascherando il nostro egoismo travestito di falsi gesti di altruismo. Occorre ritornare ai tempi del cuore. “Il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce: lo si osserva in mille cose”, ci ricorda il filosofo Pascal.
Vogliamo liberare la nostra innata capacità di amare, fondandoci proprio sulla tenerezza. Per essere più chiari ed espliciti vogliamo fare riferimento al buon Pastore, il quale dona la vita per le sue pecorelle e parte, senza esitare, per cercare quella dispersa e “quando l’ha trovata, pieno di gioia se la carica sulle spalle”. Crediamo che questo episodio rappresenti bene un'esperienza di profonda tenerezza come quella che abbiamo cercato di descrivere.
L'amore vero che si nutre di tenerezza presuppone farsi carico dell'altra persona, accogliendola in tutti i suoi aspetti ed aiutandola a “partorire sé stessa” senza censure e limitazioni di sorta. In tal modo diventiamo collaboratori del Maestro nell'essere facilitatori di processi di liberazione.
La comune vocazione di noi esseri umani, infatti, è quella di fare spazio all'altro, favorendo le condizioni vitali perché possa dirsi e darsi liberamente.
Imitiamo il Signore Gesù che ha definito sé stesso “mite ed umile di cuore” e proviamo a far nostri i suoi molteplici gesti di tenerezza.
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