Chiara, sorella di vita secolare

Marta

In passato non mi sono mai filata molto Chiara, la sua storia e la sua vita. È sempre stata un po’ confinata al racconto della fuga nella notte e del taglio dei capelli e un sonoro ‘‘e poi ci sono le Clarisse’’.

E tutte le Clarisse che ho incontrato nella mia vita sono sempre state rivestite di un alone di Santità che per me era quasi inavvicinabile… sentivo parlare una Clarissa e, puntualmente, piangevo a dirotto e tornavo a casa sconvolta, come se davvero avessi toccato qualcosa di troppo grande e troppo alto per la mia vita. Bello, meraviglioso, grande… ma troppo per poter essere compreso.
Poi qualcosa è cambiato.
Per Grazia, a differenza di tutte le altre volte in cui dalle Clarisse si andava sempre in gruppo e ascoltata la testimonianza si tornava a casa, mi son trovata catapultata da sola in una fraternità di Sorelle che mi hanno accolta come sorella e con le quali, buttati giù in un micro-secondo tutti i muri, ho avuto ed ho tutt’ora la gioia di camminare.
È grazie a loro che è nato il desiderio di conoscere Chiara un po’ più da vicino, un po’ al di fuori degli schemi e dei preconcetti che avevo.
Ed è così che Chiara è diventata anche un po’ mia Sorella.
Chiara mi insegna, continuamente, cosa vuol dire vivere uniti a Dio; mi insegna il significato di dono totale, di amore incondizionato; mi insegna a non trattenere, a darsi totalmente; e, per me, la cosa più grande dell’aver incontrato Chiara è che credo che lei sia maestra non solo di vita claustrale, ma anche e soprattutto di vita secolare.
Ho vissuto mesi, forse anni, spezzata tra la preghiera e la vita di tutti i giorni, come se fossero due poli opposti, come se Dio non c’entrasse con il mio lavoro o come se nella preghiera ci fosse solo Dio… non per cattiveria o perché non volessi integrarli, ma perché fisicamente non ero capace di capire come ‘‘ricordarmi di Dio al lavoro’’ o come ‘‘vivere il quotidiano anche quando mi fermavo nella preghiera e con Lui’’ (detto semplicisticamente).
Vivevo (e a volte vivo) la frustrazione di questa separazione, una vita che non è preghiera e una preghiera che non ha nulla a che fare con la vita.
Chiara mi insegna la totalità: una preghiera che è totalità. Prego perché amo.
E tu non puoi amare solo a pezzetti, solo nell’angolino di una chiesa o solo davanti al tuo paziente preferito.
L’amore, quello vero, è qualcosa che rimane sempre. È qualcosa di totale.
Se penso alla mia vita come ad un vaso: dentro ci metto tante cose, piccole o grandi che siano. Ci metto della sabbia che si infila quasi in tutti gli angoli... ma poi ci metto dell’acqua, ed è solo l’acqua che permea e tiene insieme tutto: quell’acqua è l’Amore, Lui, e quell’acqua è la preghiera.
Se ami Dio, lo ami nell’intimo della preghiera personale, lo ami nella celebrazione dell’Eucarestia e in ogni momento di preghiera comunitaria e in ogni Sacramento; ma lo ami anche e soprattutto quando sei fuori di lì, nelle fatiche al lavoro, nelle gioie delle relazioni, nelle ferite che ti porti dentro, nelle stanchezze e nelle crisi, anche quelle più nere. Lo ami nei successi, nei traguardi, nel riposo; nei fratelli, nei piccoli… lo ami, totalmente. E quindi preghi, totalmente.
E solo così, totalmente, puoi seguirlo ed essere suo strumento.

Penso questo. E provo a vivere questo… inutile dire che si cade mille volte ed è molto più facile rimanere spezzati piuttosto che totalizzati. Ma si cammina per mano a Lui e con i fratelli ed è una Grazia poterlo fare.  

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