Il Vangelo che ascoltiamo in questa Domenica si trova all'interno del quarto capitolo di Marco, detto capitolo delle parabole, infatti vengono raccolte qui cinque parabole.
Collochiamo rapidamente questo brano, per comprenderlo ma anche per collocarci al suo interno. Ci troviamo subito dopo due incontri di Gesù, non molto lieti. Gesù ha incontrato gli scribi che lo calunniano, dicendo che è posseduto da Beelzebùl, capo dei demòni (3,22-30). Subito dopo giungono i suoi parenti venuti a cercarlo e prenderlo con loro, perché dicevano che era «fuori di sé» (3,20-21.31-35). Dopo questi episodi, inizia il capitolo quarto, Gesù si mette ad insegnare lungo il mare e si raduna molta folla. Quindi sale su una barca e sedendosi, non troppo lontano dalla riva, inizia a parlare. E tutti tendono l’orecchio per ascoltare. Questo momento è come un dono inaspettato, il lettore/uditore è sedotto, introdotto in un mondo più segreto, un immaginario ma che a tutti non si svela subito. Con questa narrazione, Marco ci prepara ad entrare in quello che costituisce il cuore del suo vangelo, il mistero del Regno (4,10).
Si tratta di un capitolo chiave per la comprensione del vangelo di Marco. Ma troviamo qui anche i versetti di più difficoltosa interpretazione del secondo vangelo:
11 Ed egli diceva loro: «A voi è stato dato il mistero del regno di Dio; per quelli che sono fuori invece tutto avviene in parabole, 12 affinché
guardino, sì, ma non vedano,
ascoltino, sì, ma non comprendano,
perché non si convertano e venga loro perdonato».
Questo capitolo presenta la predicazione di Gesù in modo molto particolare. Vengono messi in scena due gruppi di uditori: le folle (cf. vv. 1-2.33) e «quelli che erano intorno a lui con i Dodici» (v. 10; cf. v. 34). Due gruppi di uditori ai quali sono destinati insegnamenti specifici: per le folle, il discorso «in parabole» (cf. vv. 1-2.11b. 33-34a); per «quelli che erano intorno a lui con i dodici», un insegnamento letteralmente esoterico, cioè riservato (cf. vv. 11-34b).
Possiamo riconoscere due livelli o due obiettivi della predicazione di Gesù:
Esaminiamo il brano
v. 26
26 Diceva: «Così è il regno di Dio: come un uomo che getta il seme sul terreno»
«Diceva»: Il brano che si legge nella liturgia aggiunge «alle folle», ma questo nel brano di Marco non è scritto. O meglio non è chiaro se queste parabole sono rivolte alle folle o solamente «a quelli che erano intorno a lui assieme ai Dodici». Si potrebbe pensare che i destinatari siano effettivamente le folle, per via del verbo utilizzato che indica un'azione continuativa e che indicherebbe i destinatari di queste due parabole i medesimi di 4,3-9. Allora è possibile supporre che in origine ci fosse un’unica raccolta di parabole «del seme».
«Così è il regno di Dio: come un uomo...»: Le realtà del Regno si proiettano sulla vita degli uomini e d’altra parte le realtà umane vi debbono corrispondere, perché debbono portare gli uomini al Regno. Ogni nostra azione può - o meglio deve - portare gli uomini al Regno.
«un uomo che getta il seme sul terreno»: dà l'idea di un metodo di semina ancora più a “caso” che non in 4,3.
v. 27
27 dorma o vegli, di notte o di giorno, il seme germoglia e cresce. Come, egli stesso non lo sa.
«dorma o vegli»: notare la presenza dei due termini opposti come «di notte o di giorno» che racchiude tutta l’attività - merismo. Oltre a questo da un senso di ritmo e serenità.
«di notte o di giorno»: L'ordine rispecchia il costume ebraico di considerare la notte come l’inizio del giorno seguente.
«Come, egli stesso non lo sa»: il contadino, se è sicuro di avere proceduto ad una semina accurata, è nell’attesa fiduciosa, dorme sonni tranquilli giorno dopo giorno. Questo non è un invito alla pigrizia, si sa che il contadino ogni giorno si affaccia con cura gelosa e curiosa sul suo campo, che guarda con amore e attesa.
«il seme germoglia e cresce»: Ci sono due verbi della crescita: «germoglia» e «cresce» (lett. «si allunga»). La ripetizione dei verbi della crescita serve, come fanno i verbi del dormire e svegliarsi, a creare un senso del passare del tempo senza alcuna fretta.
Il seme germina e «si fa lungo» dice il testo e vuole dire che il contadino dalla sua esperienza conosce bene il fatto: quando avviene il primo spuntare della pianticella, quali siano i tempi della sua crescita e del momento della sua maturazione, che prelude alla mietitura.
A proposito della frase «egli stesso non lo sa», dobbiamo tenere presente che ci saranno certamente molte differenze fra il significato che la parabola aveva nel contesto di predicazione di Gesù e quello che poteva avere al tempo di Marco, quaranta o cinquanta anni dopo, quando si rivolge a una comunità che è stata provata da ogni sorta di persecuzioni (cfr. v.17).
Qui Gesù esprime la sua fede e la sua speranza che Dio condurrà comunque a una fine vittoriosa ciò che incominciato attraverso lui (ricordando che la Parola di Dio «non esce dalla mia bocca… senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata», Is 55,10-11).
A livello di Marco, la parabola presenta la stessa dinamica, ma non si applica solo alla missione di Gesù, perché la sua impresa è prolungata ben oltre la sua morte attraverso la sua Chiesa. Possiamo scorgere come l’evangelista considera tutta la storia della salvezza con le sue tappe successive e necessarie. Non bisogna saltarne alcuna: prima questo e poi quello. L’avverbio «prima anzitutto» è tipico di Marco:
Bisogna «anzitutto» aver legato l’uomo forte, prima di poter saccheggiare la sua casa;
bisogna «anzitutto» che venga Elia, poi il figlio dell’uomo dopo di lui;
bisogna «anzitutto» dare il pane ai figli, e poi ai cagnolini;
bisogna «anzitutto» che il vangelo sia predicato a tutte le nazioni, poi solo allora verrà la fine (3,27; 9,11-13; 7,24-30; 13,10.24).
Inoltre, capiamo che il Regno è capace di agire da sé, basta che sia “gettato”. [il saggio cinese, dice “non serve tirare l’erba per farla crescere”]. Si tratta di una parabola davvero liberante: non è nelle nostre capacità che risiede la salvezza, e nemmeno in quelle dei missionari, ma nella potenza di Dio.
v. 28
28 Il terreno produce spontaneamente prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno nella spiga;
«La terra produce»: L'uso del verbo karpophoréō riecheggia 4,20, dove il seme buono «produce frutto».
«spontaneamente»: Gesù avverte che la terra «porta frutto automatē», un aggettivo al femminile che compone il pronome autós, sé stesso, con la radice verbale máomai, muoversi. Il greco automatē (un aggettivo usato qui come avverbio) è detto dunque di cose che accadono senza una causa spiegabile. Nella descrizione della piaga delle tenebre in Egitto in Sap 17,6 è detto che «nessun fuoco, per quanto intenso, riusciva a far luce, se non le luci spontanee (automatē) degli astri». L'uso del termine in questo senso suggerisce che è Dio che si cela dietro la crescita.
«prima lo stelo, poi la spiga, poi il chicco pieno»: Le quattro fasi della crescita (compresa la maturazione, nel v. 29) sono un altro esempio in questa breve parabola della ripetizione di parole per creare un senso del tranquillo e compassato trascorrere del tempo.
v. 29
29 e quando il frutto è maturo, subito egli manda la falce, perché è arrivata la mietitura».
«subito si mette mano alla falce»: Chi mette mano alla falce è il seminatore. Il verbo apostellei, che normalmente significa «mandare, inviare», qui viene tradotto con «mettere mano» poiché il versetto è praticamente una citazione di Gl 4,13: «date mano alla falce, perché la messe è matura».
v. 30
30 Diceva: «A che cosa possiamo paragonare il regno di Dio o con quale parabola possiamo descriverlo?
«A che cosa potremmo paragonare»: La seconda parabola inizia con una domanda, sembra quasi che ci si metta a cercare insieme. La domanda viene posta due volte e acquista uno slancio poetico. La forma scelta richiama una forma sapienziale. Questo linguaggio è tipico anche delle parabole rabbiniche più tardive. L’interrogativo sembra giocare sulla possibilità che la cosa non riesca. Si può cogliere il Regno con un’immagine? La realtà del Regno è misteriosa (cfr. 4,11: «il mistero del Regno»).
vv. 31-32
31 È come un granello di senape che, quando viene seminato sul terreno, è il più piccolo di tutti i semi che sono sul terreno; 32 ma, quando viene seminato, cresce e diventa più grande di tutte le piante dell'orto e fa rami così grandi che gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra».
«un granello di senape»: Il seme della pianta della senape era proverbiale per la sua piccolezza (cfr Mt 17,20 per una fede esigua quanto un seme di senape). La pianta della senape, i cui semi sono usati per il loro aroma, lungo le sponde del mare di Galilea può raggiungere l'altezza di circa tre metri. Plinio scrive nei suoi trattati che è una pianta resistente che cresce rapidamente e tende ad invadere il giardino. Il punto è che il regno è un qualcosa sia di resistente che invadente.
«più grande di tutte le piante dell'orto»: Date le dimensioni effettive della pianta della senape, qui cogliamo dell'esagerazione parabolica e un pizzico di ironia.
«gli uccelli del cielo possono fare il nido alla sua ombra»: Nell'AT i grandi alberi qualche volta sono presi a simbolo del potere nazionale. In Dn 4,19-21 il grande albero sotto il quale «vivevano le bestie della terra [e tra i cui rami abitavano gli uccelli del cielo]» è un simbolo della persona e del potere di Nabucodònosor.
In Ez 17,22-23 (I lettura) Dio prenderà un ramoscello da un grande cedro e lo pianterà affinché possa portare frutto e diventare un nobile cedro. Poi, «sotto di lui tutti gli uccelli dimoreranno, ogni volatile all'ombra dei suoi rami riposerà». La corrispondenza verbale tra Mc 4,32 ed Ez 17,23, dove gli uccelli si riposano all'ombra, attesta che per Marco questa è la principale allusione all'AT. Se così è, allora il regno di Dio proclamato da Gesù è, come il nuovo Israele, il luogo dove tutte le creature viventi troveranno rifugio. C'è anche una piacevole ironia nel presentare il regno non come un maestoso cedro ma come un cespuglio di senape.
Il contrasto è orribile, e chiaro. Il Signore non si serve più dei re della terra per radunare le nazioni nel suo Regno. Si serve della pochezza di un Seme mirabile, la sua Parola, che appare all’inizio minuscola come il seme della senape, ma poi crescerà tanto, che nella Comunità che avrà prodotto potrà accogliere le creature che attendevano l’ombra del rifugio, le nazioni della terra. Negli Atti degli Apostoli Luca narra come avvenga questo, da Gerusalemme ai confini della terra. Paolo ne riferisce l’esperienza storica difficile.
vv. 33-34
33 Con molte parabole dello stesso genere annunciava loro la Parola, come potevano intendere. 34 Senza parabole non parlava loro ma, in privato, ai suoi discepoli spiegava ogni cosa.
«annunziava la Parola»: L’uso dell’imperfetto denota un'azione abituale.
«come potevano intendere»: Questa affermazione molto probabilmente si riferisce alla folla, che è il pubblico di 4,1-9.26-32.
Un insegnamento esoterico (vv. 33-34). Gesù ai suoi discepoli dice più cose di quante ne dica alle folle. Vi è dunque una differenza tra l’insegnamento per tutti, l’insegnamento “essoterico”, e quello esoterico, per i più vicini. Solo stando alla sequela del Maestro è possibile cogliere gli aspetti che rimangono oscuri a coloro che invece stanno ai margini: non perché la rivelazione di Gesù sia misterica, settaria o difficile da capire, ma perché non tutto può essere compreso con la sola intelligenza o con una relazione a distanza. Stare con Gesù apre ad una forma più profonda di conoscenza, quella che si potrebbe chiamare “del cuore”.
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