Sulla fragilità

fr. Enrico

Fin da piccoli il desiderio di tanti è stato quello di diventare grandi, con il bisogno indotto, più o meno manifesto, di essere forti. Siamo tutti cresciuti a "pane e supereroi", animati da uno struggente desiderio di trascendere la nostra condizione di fragilità esistenziale, che ci impediva di vivere appieno i nostri giorni, almeno a nostro modo di vedere.
In questo c'è della follia perché viene scartato a priori ciò che ancora non conosciamo e non abbiamo assunto appieno, e che può celare una bella notizia.
Siamo chiamati ad entrare in noi e a scegliere di abitare le nostre fragilità, a vestirci e rivestirci continuamente del nostro essere creature. Questo non significa smettere di tendere a Colui che ci ha creati, ma stare al nostro posto, mantenendo un vivo dialogo con il Creatore di tutte le cose.
"Siamo fatti bene", "siamo una meraviglia", meglio ancora, "siamo un capolavoro" che attende di essere scoperto e mostrato al mondo perché tutti diano gloria al Signore dei cieli e della terra.
Come un blocco di pietra che attende di essere scolpita e lavorata per mostrare l'opera d'arte in essa nascosta, lasciamoci lavorare dai diversi eventi della vita, in particolare dagli imprevisti, per venire alla luce. E perché questo accada occorre porre “in stand by” i nostri progetti, per fare spazio a ciò che la Vita continuamente ci propone nelle forme più diverse.
Siamo nella misura in cui ci scopriamo. Lasciamoci spogliare dalle nostre false e deliranti sicurezze, per scegliere di abitare proprio le nostre fragilità.
Il tesoro che cerchiamo in modo ossessivo fuori di noi e contro gli altri, riposa nel nostro profondo e, solo se ci lasciamo ferire e accogliamo quanto ci fa paura e ci immobilizza, può svelarsi la perla che portiamo in noi. Lo stesso ha fatto l’uomo Cristo sulla croce, il quale lasciandosi ferire ed “aprire” ha mostrato la verità della sua persona, svelando a tutti il volto nascosto di Dio. Questo passaggio era necessario per far emergere attraverso le ferite del Figlio la perla dello Spirito Santo che il Padre aveva nascosto nelle pieghe della carne del Nazareno.
Le nostre fragilità ci appartengono, fanno parte di noi, e finché non sceglieremo di accoglierle ed integrarle nella nostra persona non avremo pace.
Facciamo silenzio e mettiamoci in ascolto della parola che il Signore dice a Paolo, e a ciascuno: "Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza".
Allora facciamo pace con noi stessi, mettiamo davanti al Risorto le nostre ferite, meglio, guardiamole attraverso le sue per scorgervi la luce della risurrezione.
Solo così comprenderemo quanto esclama Paolo, raggiante di gioia: "Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo".
La svolta, la leva per sollevare il mondo delle nostre fragilità, non è in, ma fuori di noi, essa è la croce di Cristo. Vedere che le nostre povere piaghe sono innestate nelle Sue, forse, è il modo più concreto di provarne l’appartenenza.
Comprendiamo come l'invito che ci era stato rivolto da bambini ad essere forti mancava di un preciso riferimento: il Signore Gesù, morto e risorto per noi.
Una vita autoreferenziale ci fa apparire quello che siamo come un errore di fabbricazione, invece noi siamo fatti ad immagine e somiglianza di Colui che ha dato alla luce la meravigliosa creazione, ancor oggi tutta contemplabile.
Alziamo lo sguardo e contempliamo le stelle per comprendere che noi siamo chiamati ad accenderle ogni sera attraverso l'accoglienza delle nostre fragilità.
E allora possiamo dire con gioiosa convinzione "beata fragilità!".

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