La concezione del Denaro nel Medioevo

La marginalità del denaro nel mondo medievale

Per quasi tutti i mille anni che durò il Medioevo il denaro fu meno importante e diffuso di quanto fosse nell’Impero Romano e certamente ricoprì un ruolo molto meno importante a quello che noi ora gli attribuiamo. Esso non era presente come per noi in molte forme – metallica, cartacea, “virtuale” – ma si identificava quasi totalmente con le monete metalliche, poco utilizzate anche a causa della mancanza di metalli preziosi in Europa. È, infatti, per questo che la maggior parte degli storici fissa la nascita del nostro moderno mondo economico nella ripresa monetaria del XVI secolo, quando cominciarono ad affluire in Europa grandi quantità di metalli preziosi provenienti dal Nuovo Mondo.

Ma oltre alla scarsità del denaro circolante, la sua marginalità era dovuta ai valori e alla mentalità del tempo. La ricchezza era costituita innanzitutto dal possesso di grandi proprietà terriere, dal numero di contadini, servi e guerrieri al proprio servizio. Vi era una gerarchia, nella società, di tipo feudale che costringeva gli “uomini del denaro” – mercanti, banchieri, professionisti – ad acquistare terre e titoli nobiliari, per ascendere nella società. Acquisire le caratteristiche e i valori delle classi dominanti perdendo, in un certo senso, il legame stretto con la moneta.

Cristianesimo e concezione del denaro

Il denaro era qualcosa di sospetto, anzi, di intrinsecamente diabolico. La mentalità dell’Occidente medievale era dominata non dal pensiero economico, ma dal cristianesimo e dai suoi valori, di cui la chiesa si faceva garante e guida incontestabile. E la chiesa guardava con sospetto al denaro – definito non a caso lo “sterco del diavolo” – e al suo accumulo: un tipo di ricchezza considerato iniquo e quindi da rifuggire.

I valori fondanti della società: la carità e il dono

L’avversione per l’accumulo di denaro derivava anch’essa da valori ispirati dalla religione cristiana: principalmente la charitas e la gratuità del dono. Accumulare denaro significava venire meno all’unico uso della ricchezza monetaria ritenuto accettabile da parte delle norme religiose: la carità, l’elemosina nei confronti del povero, nel quale si rispecchiava Gesù stesso. Inoltre, fare prestiti per interesse violava un altro dei precetti evangelici, l’aiutare gratuitamente il fratello in difficoltà. Siamo qui di fronte a un punto nodale nella concezione della ricchezza, come ha mostrato il grande storico francese Jacques le Goff, affermando che l’economia del Medioevo è basata sul dono, sull’elemosina.

Povertà e denaro nella Dottrina e Prassi dei Francescani delle origini

Proibizione e uso del denaro nella valutazione di Francesco

Al di fuori della Regola non ci sono altri scritti di Francesco che parlino della proibizione del denaro.

In entrambe le Regole viene ingiunto a coloro che entrano nell'Ordine di vendere tutto e di distribuire il ricavato ai poveri. Questo riguarda chi non appartiene ancora all’Ordine.

Tuttavia questo dimostra che l’uso del denaro non era considerato in sé un male. La proibizione di usare il denaro per i francescani non deriva quindi da una certa concezione magica, come se il contatto con il denaro fosse una specie d'impurità. Qui si dimostra pure che era pure uso distribuire elemosine in denaro ai poveri.

Il punto di partenza per la proibizione del denaro è da ricercarsi certo nella parola di Gesù: «Non prendete nulla per il viaggio, né bastone, né bisaccia, né pane, né denaro, né due tuniche per ciascuno» (Lc 9,3). A questo testo fa riferimento anche la Regola non bollata.

Questa Regola ritorna spesso sulla proibizione del denaro. In relazione all’accoglienza di un candidato

Regola non bollata (II,1-6: FF 5-6)

Se qualcuno, per divina ispirazione, volendo scegliere questa vita, verrà dai nostri frati, sia da essi benignamente accolto. E se sarà deciso nell'accettare la nostra vita, si guardino bene i frati all'intromettersi nei suoi affari temporali, ma, quanto prima possono, lo presentino al loro ministro.
Il ministro poi lo riceva con bontà e lo conforti e diligentemente gli esponga il tenore della nostra vita. Dopo di che, il predetto, se vuole e lo può spiritualmente, senza impedimento, venda tutte le cose sue e procuri di distribuire tutto ai poveri.
Si guardino i frati e il ministro dei frati dall'intromettersi in alcun modo nei suoi affari, né accettino denaro né direttamente né per interposta persona. Se tuttavia fossero nel bisogno, possono i frati ricevere le altre cose necessarie al corpo, ma non denaro, come gli altri poveri, per ragione della necessità.

In questo testo la proibizione al denaro la troviamo in un caso specifico, viene esposta in modopiù ampio nel cap. VIII della Rnb.

Regola non Bollata (VIII: FF 28)

Il Signore comanda nel Vangelo: "Attenzione, guardatevi da ogni malizia e avarizia"; e: "Guardatevi dalle preoccupazioni di questo mondo e dalle cure di questa vita". Perciò, nessun frate, ovunque sia e dovunque vada, in nessun modo prenda con sé o riceva da altri o permetta che sia ricevuta pecunia o denaro, né col pretesto di acquistare vesti o libri, né per compenso di alcun lavoro, insomma per nessuna ragione, se non per una manifesta necessità dei frati infermi; poiché non dobbiamo avere né attribuire alla pecunia e al denaro maggiore utilità che ai sassi. E il diavolo vuole accecare quelli che li desiderano e li stimano più dei sassi. Badiamo, dunque, noi che abbiamo lasciato tutto, di non perdere, per sì poca cosa, il regno dei cieli. E se troveremo in qualche luogo del denaro, non curiamocene, come della polvere che si calpesta, poiché è vanità delle vanità e tutto è vanità. E se per caso, Dio non voglia, capitasse che un frate raccogliesse o avesse della pecunia o del denaro, eccettuato soltanto per la predetta necessità relativa agli infermi, tutti noi frati riteniamolo un falso frate e apostata e un ladro e un brigante, e un ricettatore di borse, a meno che non se ne penta sinceramente. E in nessun modo i frati accettino né permettano di accettare, né cerchino, né facciano cercare pecunia per elemosina, né soldi per qualche casa o luogo, né si accompagnino con persona che vada in cerca di pecunia o di denaro per tali luoghi. Altri servizi invece, che non sono contrari alla nostra forma di vita, i frati li possono fare nei luoghi con la benedizione di Dio. Tuttavia, i frati, per una evidente necessità dei lebbrosi, possono chiedere l'elemosina per essi. Si guardino però molto dalla pecunia. Similmente, tutti i frati si guardino di non andare in giro per alcun turpe guadagno.

Nella Regola bollata, il capitolo IV contiene la proibizione al denaro

Regola Bollata (IV: FF 87)

Comando fermamente a tutti i frati che in nessun modo ricevano denari o pecunia, direttamente o per interposta persona. Tuttavia, i ministri e i custodi, ed essi soltanto, per mezzo di amici spirituali, si prendano sollecita cura per le necessità dei malati e per vestire gli altri frati, secondo i luoghi e i tempi e i paesi freddi, così come sembrerà convenire alla necessità, salvo sempre il principio, come è stato detto, che non ricevano denari o pecunia.

Il confronto con Rnb e Rb dimostra una evoluzione nella proibizione del denaro. Nel 1221 viene esplicitamente proibito ai fratelli di usare o ricevere denaro per procurarsi vestiti o libri, come ricompensa del lavoro. L’unica eccezione ammessa è la manifesta necessità dei malati, per i quali i fratelli possono usare il denaro.
Questa eccezione non è più prevista nel 1223. Allora la proibizione del denaro è assoluta. Entrano in questione gli “amici spirituali”.
L’osservanza di questo punto non è priva di problemi, quando si tratta di un grande Ordine. Ci si potrebbe trovare dovunque - per lo più in paesi non cristiani - e senza persone intenzionate ad aiutare.


Nel cap. V della Rb la proibizione del denaro viene riferita al caso specifico della retribuzione per il lavoro:

Regola Bollata (V: FF 88)

Quei frati ai quali il Signore ha concesso la grazia di lavorare, lavorino con fedeltà e con devozione così che, allontanato l'ozio, nemico dell'anima, non spengano lo spirito della santa orazione e devozione, al quale devono servire tutte le altre cose temporaIi. Come ricompensa del lavoro ricevano le cose necessarie al corpo, per sé e per i loro fratelli, eccetto denari o pecunia, e questo umilmente, come conviene a servi di Dio e a seguaci della santissima povertà.

Il denaro nella Regola di Chiara

Santa Chiara, sorprende. Nella sua regola non nomina la proibizione del denaro

Regola di santa Chiara (VIII: FF 2796)

Non sia lecito ad alcuna sorella mandare lettere, o ricevere o dare cosa alcuna fuori del monastero,senza licenza dell'abbadessa. Né sia lecito tenere cosa alcuna che non sia stata data o permessa dall'abbadessa. Che se le venga mandato qualche cosa dai parenti o da altri, l'abbadessa gliela faccia consegnare. La sorella poi, se ne ha bisogno, la possa usare; se no, né faccia parte caritatevolmente alla sorella che ne ha bisogno. Se poi le fosse stato mandato del denaro, l'abbadessa, con consiglio delle discrete, le faccia procurare ciò di cui ha bisogno.

Sembra che santa Chiara fosse cosciente che la soluzione degli “amici spirituali” era soltanto una soluzione d’emergenza. Possiamo pensare che dal 1223, anno di approvazione della Regola bollata, al 1253, anno di approvazione della Regola di santa Chiara, si aveva avuti uno sviluppo tale che non rendeva possibile vivere senza usare denaro come mezzo di pagamento.

Sviluppo e conseguenze della prassi delle origini

Ogni carisma, se autentico, porta necessariamente conseguenze anche nella società civile dove si inserisce; conseguenze che possono apparire distanti da discorsi “religiosi”. Il carisma francescano è quello che forse più di tutti ha prodotto un effetto civile in ambito economico. Questo, paradossalmente, scegliendo la povertà volontaria.

Il francescanesimo rappresenta, nella storia dell’economia e della società occidentale, un paradosso: un carisma, nato da un mercante figlio di mercanti, che ha posto al proprio centro «sorella povertà», che divenne la prima scuola economica dalla quale emergerà il moderno spirito dell’economia di mercato. Infatti le prime riflessioni sistematiche sull’economia, sul valore e sul prezzo dei beni, sulla moneta, le troviamo in opere di Guglielmo da Ockam, Pietro Olivi, Duns Scoto, tutti pensatori francescani.

Il rifiuto radicale del denaro permette innanzitutto di affermare, grazie ai nuovi occhi donati dal carisma, che la vera ricchezza e i veri bene sono altri.

Un’idea introdotta dai francescani è quella del legame tra il valore delle cose e la loro scarsità. Dal carisma francescano si sviluppa, a partire dal secondo Duecento, l’idea che le cose valgono in base alla loro scarsità, materiale o sociale. Il valore di una persona, ad esempio, dipende da quanto rara è l’attività che egli svolge nella comunità. Da qui il valore immenso dell’amore e dell’azione dei frati che se dovesse essere remunerata richiederebbe una quantità infinita di denaro; per questo è preferibile che non sia “pagata” e resti gratuita poiché ogni remunerazione sarebbe una svalutazione del suo valore reale.

È questa un’intuizione di una portata straordinaria e attualissima. La gratuità non è associata ad un prezzo nullo, ma ad un prezzo infinito: l’amore non può essere pagato perché qualunque prezzo “finito” corrisponderebbe ad un “dumping” relazionale.

Ci sono cose importanti nella vita che è bene non transitino per il mercato perché se vi transitassero ne uscirebbero impoverite e snaturate.  La rinuncia al denaro consente l’emersione nel discorso di un loro valore differente da quello raffigurabile in termini monetari… Questo valore, non esprimibile con le monete, è un valore misterioso… La povertà di Francesco, e questo sconvolge i suoi contemporanei, sembra consentirgli di scoprire qualcosa di questo mistero.

Se dovessimo pagare un amico che ci ascolta con gratuità o un atto d’amore genuino dovremmo utilizzare tutti i denari del mondo. Da questo grande carisma proviene invece l’invito a considerare il denaro per i beni relazionali e per gli altri beni scarsi (come quelli ambientali e civili), come un “dono”, che non esprime il «prezzo della gratuità», ma dice un grazie per un rapporto.

I Monti di Pietà

Nella seconda metà del Quattrocento, nascono i Monti di pietà, dapprima in Italia e in seguito anche nel resto d’Europa. La ragione principale che portò alla nascita dei Monti di pietà era la “fraternità”: aiutare quelle famiglie meno abbienti che non avevano accesso al credito ad un equo tasso d’interesse e per questo erano costrette a rivolgersi agli usurai e quindi precipitare in miseria. Per amore i francescani promossero queste istituzioni come mezzo di “cura” della miseria e di lotta all’usura. Quando in una città c’è un indigente, dicevano, è l’intera città che si ammala: occorre curare la miseria e l’indigenza!

Come vivere il Vangelo in un’economia di mercato

Per poter vivere il Vangelo in una economia di mercato, come la nostra, dobbiamo innanzitutto, riconoscere quali sono le caratteristiche e le ambiguità del denaro. Il Denaro ha la caratteristica di essere strumentale – strumentalità –, la sua funzione è quella di permettere l’accesso a beni diversi. Seconda caratteristica è quella della impersonalità, questo perché il suo significato lo acquisisce solo tra due soggetti; si può maneggiare in modo neutrale; non influenza (o non dovrebbe) il suo possessore né le relazioni tra I due soggetti. Terza caratteristica del denaro è la sua astrattezza, poiché commisura oggetti diversi, anche I fenomeni spirituali (trasforma valori qualitativi in valori quantitativi). In ultimo, possiede varie potenzialità, infatti ha una varietà di scopi. Certamente, per garantire la funzionalità del denaro come mezzo si presuppone la fiducia reciproca e una realtà pubblica e misura certa e stabile.

Riconosciamo anche una serie di ambiguità legate al denaro:Favorisce la libertà individuale

  1. disimpegno personale nelle relazioni;
  2. prevalere del quanto rispetto al come;
  3. quantifica le funzioni spirituali che regolano le relazioni tra persone (beni relazionali);
  4. Dio denaro: un fine in se stesso;
    si inverte il detto tipico dei francescani “nihili habentes, omnia possidentes” in “Omnia habentes, nihil possidentes”

L'idolatria del denaro

Lo psicoanalista J. Lacan esprime il concetto di "fantasma" il quale in-forma l’oggetto del desiderio. Accade così che è il “fantasma” a diventare il sostegno del desiderio e non l’oggetto, come si crede. Quello che succede è che si crede di desiderare un oggetto, tuttavia, il desiderio è sostenuto dall’assenza di quell’oggetto. In questo modo quando si ottiene, finalmente, l’oggetto il soddisfacimento dura poco, dopo non molto tempo si sperimenta ancora la mancanza. Nel linguaggio biblico questo inganno si esprime nel Sal 115.

Salmo 115, 4-7

4 I loro idoli sono argento e oro,
opera delle mani dell'uomo.

5 Hanno bocca e non parlano,
hanno occhi e non vedono,

hanno orecchi e non odono,
hanno narici e non odorano.

7 Le loro mani non palpano,
i loro piedi non camminano;
dalla loro gola non escono suoni!

Il denaro è proprio ciò che permette questo meccanismo perverso. Dal punto di vista della legge del desiderio, rischiamo di passare non da un oggetto all’altro ma da un fantasma all’altro. Il soggetto non riesce mai a colmare la propria mancanza, nel tentativo di porsi finalmente come quel padron che non è mai stato.

Il desiderio del denaro diventa l’essenza stessa dell’idolatria: il possesso del denaro come la possibilità di possedere tutto (cfr. Salmo 115).

L’attualità della prassi dei primi  francescani ci insegna a utilizzare sapientemente il denaro cioè in modo più umano ed evangelico. Come detto più sopra, la rinuncia al denaro ha il significato primo di riconoscerne la sua strumentalità e non attribuirgli più valore di quello che non ha. In una economia giusta, bisogna riconoscere altri valori decisamente più preziosi del denaro. Possiamo affermare che in un bilancio economico corretto, si esso personale, famigliare o aziendale, devono entrare anche altre "valute" oltre alla moneta corrente. Sono le "valute" che descrivono quei beni misteriosi trai quali primeggia sicuramente la carità ma anche tutti gli altri, spesso considerati intangibili ma che sappiamo preziosissimi: il tempo, l'affetto e gli affetti, la libertà, la dignità umana...

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