That’s “GiFra”

Sofia

Il primo approccio che ho avuto con la GiFra è stato il 18 giugno dello scorso anno, quando era tornato a Pavia un amico che non vedevo da otto mesi, Andrea.
La sorte volle che, invece di incontrarlo da sola, ci fosse anche un altro tizio – Marco, suo amico – del gruppo di giovani di cui aveva fatto parte prima di trasferirsi. La GiFra, appunto.
Di entrare nella fantomatica Gioventù Francescana mi era stato proposto già due volte a quell’epoca, una da Andrea e l’altra da un frate – che poi scoprii essere l’assistente della GiFra di Pavia, fra Enrico.
Posto che non sia mai stata una persona portata per il sociale, quella sera, un po’ per il desiderio di passare del tempo con un amico che non vedevo da tanto e un po’ per la curiosità di osservare dal di fuori questi “gifrini”, decisi di fermarmi a cenare con loro; cena dopo la quale mi fu proposto per la terza volta di provare a partecipare a un incontro.
E che si poteva fare? Sono una persona troppo educata per dire subito di no ad uno sconosciuto gentile e i suoi amici… (no, in realtà avevo solo paura di finire in manette per resistenza a pubblico ufficiale, visto che il proponente era ed è tuttora un carabiniere).
Guardandomi indietro oggi ho idea che il Signore mi abbia fatto un dono quella sera.
Nonostante il grande, grandissimo imbarazzo, decisi di tentare.
Consapevole della figuraccia che sto – forse, dipende dai punti di vista - per fare, devo essere molto sincera e dire che, nonostante non fosse stato affatto un brutto incontro, la mia reazione preponderante fu: “Okay, questi tizi sono decisamente svitati”, unita al forte desiderio di darsela a gambe.
Era l’ultimo incontro dell’anno quello a cui partecipai, avrei avuto circa tre mesi per pensare davvero al da farsi mi aveva suggerito Marco.
Ma figurati se avessi dovuto pensarci: non sarei tornata.
… vero? Verissimo.
Infatti ero lì appena si riprese, in ottobre.
Al primo incontro, al secondo, al terzo… Nonostante ci fosse una forte tentazione a farmi un sonnellino il lunedì sera, invece di andare: subito dopo gli incontri era sempre un dramma (piangevo, mi arrabbiavo, eccetera eccetera…), un continuo “okay, ora basta”… ma poi c’era questo desiderio, questo flebile “ancora una volta”… e così mi ritrovavo ad allacciarmi le scarpe piuttosto che mettermi le pantofole.
E poi? Poi è tornata la zona rossa e allora potevo tenerle, ma solo in apparenza.
Mi chiedono di dire cosa sia per me la GiFra, quale sia la mia esperienza. Beh, è quella che ho appena raccontato: un continuo allacciarsi le scarpe e camminare a passi di formica.
Verso cosa? Ah non saprei… la Promessa? Forse, chi lo sa…
“La meta è partire” mi disse fra Enrico citando Ungaretti, e credo che ciò – andando oltre il significato vero e proprio della GiFra e i quattro Pilastri della Promessa – esprima bene come mi si presenta oggi: un passo ancora, non c’è una meta definita se non provare ad aver un rapporto col Signore e con gli altri, i Fratelli.
Partire per vivere.
Volersi impegnare.
Credo che comunque possa evolversi in futuro, tutto questo mi lascerà qualcosa, e non lo dico per far pubblicità – o meglio, non solo -, ma perché lo vedo anche in chi ha già terminato questo cammino.
Ovviamente non è così easy, lo dimostra anche quanto riportato sopra a proposito delle mie prime impressioni: o ci metti la forza, la testa, te stesso, o stai a casa. Non c’è nulla di male a scegliere di cambiare rotta (anzi, a parer mio è un ottimo punto a favore questa garanzia “soddisfatti o rimborsati”), ma per farlo devi almeno aver voluto provare a muovere un passo in questa direzione, mi rendo conto. È un gruppo di giovani sì, ma non è l’amicizia l’elemento aggregante: è il voler camminare.
Ed è meno facile di quanto sembri tutto ciò, potrebbe esserlo per mille ragioni (la mia, in particolare, è perché sono sempre stata la versione giovane e femminile del nonno di Heidi)… ma è stato bello un giorno sentirsi dire: “Tu stai camminando”.
E pensandoci, è vero…: è la prima volta che opto per lo sport al posto del pisolino.


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