La differenza non indifferente

Come i racconti sogliono iniziare con «c'era una volta», così pure il grande racconto della Bibbia inizia con «in principio»: «in principio Dio creò il cielo e la terra» (Gen 1,1). Siamo infatti davanti all'incipit di una storia, la storia della salvezza. Per sei giorni vediamo Dio indaffarato nell'atto creatore. La sua parola - «Dio disse» - si accompagna subito con la sua azione - «Dio fece». La creazione è opera della parola di Dio (Gen 1,3ss.) o della sua azione (Gen 1,7.16.25.26). Il dabar (parlare) ebraico non è il semplice logos (parola) nel senso classico della lingua greca, cioè parola pensata e detta, ma è un'azione, un fatto, un evento. Dio parla e fa. Per sei giorni si dà da fare per portare a compimento tutta la creazione.

Adamo ed Eva: la differenza in principio alla relazione

Poi, al sesto giorno, all'apice del suo lavoro, ecco risuonare un plurale maiestatico: «Dio disse: "Facciamo l'uomo a nostra immagine, secondo la nostra somiglianza"» (Gen 1,26). Dio decide di creare l'uomo coinvolgendo nella decisione tutta la corte celeste, gli angeli. È veramente un momento solenne. Al punto che, nell'interpretazione dei Padri della Chiesa, in questo plurale del testo si intravede il mistero della Trinità. Per la creazione dell'uomo è messa in scena tutta la Trinità di Dio.

La parola ha'adam, che noi traduciamo con «l'uomo» indica qui non il maschio, ma l'essere umano in generale. Un plurale collettivo in stretto legame con la «terra» ('adamah). Un umano, diciamo «terra terra», tratto dalla terra, eppure «immagine di Dio». L'uomo ha l'esclusiva in tal senso, detiene il copyright dell'immagine di Dio. Nessun animale è stato creato con questo titolo. Essere a immagine di Dio sottolinea che l'uomo è un essere superiore non solo perché ha potere sulle altre creature, ma soprattutto perché è sensibile e intelligente, capace di volontà e capace di dialogare e di entrare in relazione con Dio. Una cosa straordinaria!

Poi ecco il passaggio successivo:

E Dio creò l'uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò:
maschio (zakar) e femmina (neqebah) li creò (Gen 1,27).

Qui la storia ci rivela che l'uomo, creato a immagine di Dio, è maschio e femmina. Zakar-maschio, con un'allusione al sesso maschile nell'etimo "puntuto"; neqebah-femmina, con un'allusione al sesso femminile nell'etimo "forata". Come dire: né il maschio da solo, né la femmina da sola sono immagine di Dio. Solo entrambi insieme sono immagine statuaria di Dio. Uomo e donna hanno un'identica dignità. Strepitosa e unica. E il mistero di Dio, l'immagine di Dio, si spalanca laddove entrambi, l'uomo e la donna, sanno fare risplendere la loro dignità in una relazione di reciprocità. 

Ma va sottolineato questo fatto: la differenza maschio e femmina sta al principio della creazione dell'uomo e della donna. Ora qui bisogna fare un passo indietro. I primi undici capitoli del libro della Genesi vengono definiti «eziologici», sono cioè testi che vogliono risalire al "perché" delle cose e dei. vari aspetti della nostra esistenza. Il perché della presenza nel mondo della violenza e del male. Il perché di un'esistenza umana debole, precaria e segnata dalla morte. Il perché della divisione tra gli uomini nella lingua e nel cuore, fino alla differenza tra i sessi e dell'attrazione e della seduzione che c'è tra un uomo e una donna. I "perché" della vita sono sempre tanti.

Tra i tanti "perché" c'è, appunto, anche il "perché della differenza uomo e donna". E per spiegare questo la Genesi dice che la differenza non solo è voluta da Dio, ma che - rispetto al solo «Dio vide che era cosa buona» riferito alle altre creature - «Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gen 1,31). La differenza sta al principio ed è molto buona. Non solo ciascuno di noi fa esperienza biologicamente e fenomenologicamente parlando del maschile e del femminile, ma deve sapere che, agli occhi di Dio, questa struttura primordiale della creazione è «molto buona». Per la Bibbia questa differenza è originaria e per questo irriducibile.

Benedetta differenza!

Dalla differenza come punizione …

C'è di più. La differenza maschio e femmina, struttura della persona primordiale e irriducibile, è benedetta da Dio. Ecco il testo biblico: 

E Dio creò l'uomo a sua immagine;
a immagine di Dio lo creò:
maschio e femmina li creò.
Dio li benedisse (Gen 1,27-28a).

È interessante notare che anche la filosofia platonica, di cui tanto è debitrice la nostra cultura occidentale, cerca i spiegare questa differenza del maschile e il femminile e, di conseguenza, il senso del desiderio dell'uomo verso la donna. E per questo si rifà a un mito antico, il mito dell'androgino.

Ecco ampi stralci del racconto di Platone, attraverso le parole di Aristofane, tratti dall'opera Simposio:

Anticamente la nostra natura umana non era quella che è ora, ma ben diversa. All'inizio, tre erano i generi degli esseri umani, non come ora due: maschile e femminile, perché ce n'era un terzo che era comune a entrambi e di cui ora resta il nome ma è scomparso. L' androgino in quel tempo era infatti un'unità, e una forma e un nome comune a entrambi: il maschile e il femminile. Adesso infatti non c'è altro che il nome, usato in senso dispregiativo. Inoltre, la forma era un intero rotondo [ ... ]. Erano quindi sferici e la loro camminata girava in cerchio per la somiglianza con i loro genitori. Peraltro, quanto a forza e vigore erano terribili, e avevano pensieri smisurati e assalirono gli dèi, e quel che Omero racconta di Efialte e di Oto riguarda in realtà proprio loro: il tentativo di dare la scalata al cielo per assaltare gli dèi. 

Zeus e gli altri dèi, quindi, si consigliarono su ciò che bisognava fare e si trovavano in difficoltà: non se la sentivano di ucciderli e, fulminandoli come i Giganti, annientarne la razza - sarebbero infatti stati annientati anche gli onori anche gli onori e i sacrifici che venivano loro dagli uomini - né potevano lasciare che si comportassero in maniera a tal punto sfacciata. Così, dopo faticose riflessioni, Zeus dice: «Mi pare di averlo, l’espediente per far sì che gli uomini esistano e, divenuti più deboli la smettano con la loro intemperanza. Ora infatti - continuò - li taglierò ciascuno in due, così saranno allo stesso tempo più deboli e più utili per noi, visto l'aumentare del loro numero [...]. Detto ciò, tagliò gli uomini in due, come quelli che tagliano le pere per metterle in conserva, o quelli che tagliano le uova con un capello; ognuno che tagliava, ordinava ad Apollo di rigirargli il viso e la metà del collo dalla parte del taglio, cosicché vedendo la sua scissione l’uomo fosse più moderato, il resto ordinava di risanarlo [...].

Ma quando la natura originaria fu tagliata in due, ciascuna metà, desiderando l’altra metà di sé, le andava incontro e gettandole le braccia al collo e intrecciandosi l’una l’altra, entrambe prese dal desiderio di fondersi, morivano di fame e di inerzia perché non volevano fare nulla separate le une dalle altre[ ... ]. Zeus, allora, preso da pietà, escogita un altro artificio, e sposta i loro genitali sul davanti - fino a quel momento, infatti, avevano i genitali sull'esterno e generavano e partorivano non fra loro, ma nella terra, come le cicale.

Spostò così i loro genitali sul davanti e fece sì che attraverso di essi si compisse la generazione: il maschio nella femmina [ ... ].

È quindi da così tanto tempo che negli uomini è connaturato l'eros reciproco, che riconduce all'antica natura e cerca di fare di due uno e risanare la natura umana. Ciascuno di noi è quindi una mezza tessera d'uomo, quel che chiamiamo simbolo, perché è stato tagliato come le sogliole: da uno due. Ciascuno quindi cerca sempre l'altra mezza tessera, l'altro simbolo di se stesso.

Questo il racconto mitologico sull'origine dei sessi secondo Platone. In sintesi, dall'androgino tagliato da Zeus sono seguiti due esseri dimezzati che cercano la loro metà. Poiché questa continua ricerca portava alla morte d'inedia, Zeus ha operato lo spostamento degli organi sessuali sul davanti. Ciò ha fatto sì che il desiderio dell'altro, quando si incontra la propria metà, invece che portare morte, generi nuova vita.

. . . alla differenza come benedizione

La cultura attuale in bilico tra differenza e indifferenza

Con sullo sfondo il mito platonico dell’Androgino, per cui la differenza uomo/donna è una separazione originaria, intesa come una perdita e come una punizione, siamo entrati nella post-modernità. E la differenza sessuale sembra essere il grande rimosso della nostra cultura. E dire che, secondo il filosofo M. Heidegger, «ogni epoca ha una cosa da pensare. Una soltanto. La differenza sessuale, probabilmente, è quella del nostro tempo. La cosa che, pensata, ci darebbe salvezza».

Di fatto la differenza uomo/donna ha vissuto lungo la storia e specie nel recente passato - vedi le lotte femministe - la dinamica di un'accesa conflittualità. D'altra parte i sessi, sostiene qualcuno in riferimento alle leggi che presiedono all’evoluzione della specie, sarebbero in una continua lotta per la supremazia, per il potere dell'uno sull'altro. Si parla così di parità ed uguaglianza tra uomo e donna, ma è difficile immaginare che si possa giungere a una coesistenza pacifica tra i sessi. Bisognerebbe quindi rassegnarsi al fatto che le differenze siano inconciliabili.

Di fronte a questa tendenza che esaspera la differenza uomo e donna, qualcuno propende ad annullarla. «Uomini e donne non si nasce, ma si diventa», ha scritto Simone De Beauvoir e sulla scia di questa affermazione la nostra cultura occidentale è entrata in una fase in cui la differenza è fluida, oscillante tra Scilla e Cariddi. Si oscilla cioè tra una visione che ritiene la differenza un dato incontrovertibile, evidente, perché inscritto già nella natura biologica e fenomenologica dell'uomo e della donna e una visione, invece, per cui non esisterebbe in sé né il maschio né la femmina; esisterebbe infatti solo una cultura che "costruisce", plasma, assegna" ruoli e precise funzioni all’'uomo e alla donna. Il punto di partenza qui è l'indifferenza tra i sessi.

Seguendo quest'ultima visione, si fa strada così una "cultura transgender". A partire infatti dalla distinzione nella persona tra sesso-sex e genere-gender - dove il primo termine indica l'aspetto prettamente biologico, mentre il secondo l'aspetto storico e culturale con cui viene assunta e vissuta la rispettiva realtà biologica - si enfatizza il carattere di ambiguità dei sessi. Il transgender ha questa caratteristica, di essere un «atteggiamento sociale e sessuale che combina caratteristiche del genere maschile e di quello femminile senza identificarsi interamente e definitivamente in nessuno dei due».

La persona si va configurando come né maschile né femminile, contemporaneamente mantenendo o escludendo entrambe le caratteristiche. Come dire che l'essere "neutro" non è più solo un genere grammaticale, ma individuale. La strada è aperta verso il terzo sesso.

C'è chi evoca qui allora un altro mito dell'antica Grecia - il mito di Tiresia - che vede ancora Zeus come protagonista, in disputa con la sua amante Era. Il nocciolo del contenzioso riguarda la valutazione se nel rapporto sessuale vi sia maggior godimento per il maschio o per la femmina. Zeus incarica Tiresia, che aveva avuto il privilegio per alcuni anni di essere stato trasformato in donna e per altri in uomo, di fargli sapere a chi appartenga la palma del maggior piacere tra i sessi. Tiresia rivela a Zeus che il godimento femminile è nove volte maggiore di quello maschile ed Era, infuriata con Tiresia per aver rivelato questo segreto, lo punisce con la cecità. Zeus, impietositosi per questo castigo e volendo al contempo ricompensare Tiresia, gli dona la facoltà di prevedere il futuro.

Questo mito parte dall'assunto che l'uomo sia alla ricerca del massimo godimento. Per questo, se necessario, si è disposti anche a scardinare le leggi della vita e della morte, così come quelle della natura che presiedono alla differenza tra i sessi. L'uomo che da sempre aspira all'immortalità, aspira anche a poter esperimentare il piacere del sesso differente dal proprio, attraverso la metamorfosi tra un sesso e l'altro.

In questo programma la differenza tra i sessi, la loro interscambiabilità, occorre risulti indifferente e indifferenziata. Solo così può affermarsi quell'immaginario in cui, se il godimento di un sesso non bastasse, è possibile passare all'altro sesso, o a tutti i sessi possibili. È la logica che informa il concetto di transgender e di queer [ ... ]. Pare proprio che gli umani stentino a farsi una ragione di quella differenza che si inscrive come differenza tra i sessi.

Alla radice di queste posizioni riluttanti ad accettare la radicale differenza tra i sessi, c'è spesso anche il timore di essere accusati di sessismo oppure di perpetuare una disuguaglianza tra uomini e donne. La nostra società fa quindi molta attenzione a una comunicazione "politically correct" su tali argomenti, per non essere accusati di razzismo, omofobia, ecc.

Ma qui va detto che non c'entra la politica e non è in gioco un giudizio morale sulle qualità dell'uomo e della donna. La differenza uomo-donna non si oppone all'uguaglianza. In caso si oppone all'equivalenza. L'una, la differenza, riguarda la natura della persona - cioè, direbbero i filosofi, la sua natura ontologica - che, come notavamo nella lettura biblica, è creata a immagine e somiglianza di Dio. Su questo piano, uomo e donna sono identici nell'umanità, sono però differenti nella fisionomia sessuale. L uguaglianza è invece un concetto morale e politico e riguarda i diritti e le opportunità che una società deve dare sia agli uomini che alle donne, in ordine alla propria espressività individuale.

Giustamente qui non ci deve essere alcuna discriminazione di natura sessuale.

La discriminazione però non c'entra niente con il riconoscere la differenza irriducibile tra uomo e donna. Che uomo e donna abbiano uguale dignità, ma siano persone differenti, non va negato o sminuito. Infatti non riconoscere questa fondamentale differenza è deleterio per le relazioni tra uomo e donna. «Le ragioni per cui le relazioni falliscono sono essenzialmente due: gli uomini ancora non capiscono perché una donna non possa essere come un uomo, e le donne si aspettano che il partner si comporti esattamente come loro».

In sintesi possiamo affermare che il nostro è un tempo di crisi della differenza uomo/donna. Ma ogni crisi porta con sé non solo aspetti problematici o negativi, ma pure prospettive di miglioramento, la possibilità di ridare un senso e un valore a questa differenza. Oramai non solo niente è scontato - non lo è la fedeltà coniugale, non lo è la generazione di un figlio, non lo è il contrarre il matrimonio ... - ma niente va dato per scontato, perché quando le cose stanno così sappiamo che un valore diventa irrilevante!

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