L'Amore... non gode dell'ingiustizia

Ingiustizia, ἀδικίᾳ (adikia), è la negazione di δίκη (díkē), giusto. La giustizia in greco, ma anche nel mondo semitico, non ha a che vedere con delle norme ma il corretto rapporto con Dio. In più il giusto è colui che è come deve essere. Verità ἀλήθεια (alḗtheia), è il contrario dell’ingiustizia. Verità non è semplicemente una qualità; verità è il Vangelo.

Gode e rallegra sono verbi simili provenienti entrambe dal verbo χαίρω (chaírō) da charis = grazia. Allora questo godere e rallegrarsi ha a che fare con Dio. Potremmo dire che l’ingiustizia (non nel senso legalistico ma come detto dopra) spegne il rapporto con Dio.

Amoris Laetitia

Rallegrarsi con gli altri

109. L’espressione chairei epi te adikia indica qualcosa di negativo insediato nel segreto del cuore della persona. È l’atteggiamento velenoso di chi si rallegra quando vede che si commette ingiustizia verso qualcuno. La frase si completa con quella che segue, che si esprime in modo positivo: synchairei te aletheia: si compiace della verità. Vale a dire, si rallegra per il bene dell’altro, quando viene riconosciuta la sua dignità, quando si apprezzano le sue capacità e le sue buone opere. Questo è impossibile per chi deve sempre paragonarsi e competere, anche con il proprio coniuge, fino al punto di rallegrarsi segretamente per i suoi fallimenti.

110. Quando una persona che ama può fare del bene a un altro, o quando vede che all’altro le cose vanno bene, lo vive con gioia e in quel modo dà gloria a Dio, perché «Dio ama chi dona con gioia» (2 Cor 9,7), nostro Signore apprezza in modo speciale chi si rallegra della felicità dell’altro. Se non alimentiamo la nostra capacità di godere del bene dell’altro e ci concentriamo soprattutto sulle nostre necessità, ci condanniamo a vivere con poca gioia, dal momento che, come ha detto Gesù, «si è più beati nel dare che nel ricevere!» (At 20,35). La famiglia dev’essere sempre il luogo in cui chiunque faccia qualcosa di buono nella vita, sa che lì lo festeggeranno insieme a lui.


Osea e Gomer

Perdonare l'imperdonabile

«La Bibbia è popolata da famiglie, da generazioni, da storie di amore e di crisi familiari» (Papa Francesco, Amoris Laetitia, n. 8). E non è un caso che sia così. Nella coppia la Sacra Scrittura scorge infatti l'incontro tra l'amore di Dio e l'amore umano. Questo è molto evidente nel messaggio dei profeti. Essi, in quanto accade nell'esperienza d'amore tra le mura di casa, nelle relazioni più prossime come quelle coniugali e familiari, scorgono la possibilità di aprire gli occhi sul mistero insondabile di Dio. Non si tratta di coppie perfette - che non esistono - ma delle coppie e delle famiglie nella loro normalità, con le difficoltà, i problemi, le preoccupazioni, le fatiche dell'amore. È lì che si apre una finestra sul mistero di Dio.

1. Il contesto

Osera visse intorno al 730 a.C. nel Regno del Nord, che si era separato nel 931 dal Rgno del Sud, o di Giuda. Osea fu attivo durante un periodo di grave crisi politica e religiosa. Crisi politica: quella che culmino con una guerra civile e la divisione del Regno del Nord in due territori, Israele ed Efraim, che caddero sotto la pesante influenza assira. La crisi religiosa, rappresentata dal diffondersi tra gli israeliti del culto di Ball e dalla tentazione di ritorno agli idoli.

La vicenda

Possiamo suddividere la storia di Osea e Gomer in quattro fasi.

1. La chiamata

Osea, su ordine di Dio, sposa Gomer, e riconosce i figli – non suoi – che lei partorisce, dando nomi simbolici imposti da Dio:

«Egli andò a prendere Gomer, figlia di Diblàim: ella concepì e gli partorì un figlio. E il Signore disse a Osea: «Chiamalo Izreèl, perché tra poco punirò la casa di Ieu per il sangue sparso a Izreèl e porrò fine al regno della casa d'Israele. In quel giorno io spezzerò l'arco d'Israele nella valle di Izreèl». La donna concepì di nuovo e partorì una figlia e il Signore disse a Osea: «Chiamala Non-amata, perché non amerò più la casa d'Israele, non li perdonerò più. Invece io amerò la casa di Giuda e li salverò nel Signore, loro Dio; non li salverò con l'arco, con la spada, con la guerra, né con cavalli o cavalieri». Quando ebbe svezzato Non-amata, Gomer concepì e partorì un figlio. E il Signore disse a Osea: «Chiamalo Non-popolo-mio, perché voi non siete popolo mio e io per voi non sono». (Os 1,3-9)

2. La fedeltà tradita

Osea dona a Gomer tutti i suoi beni ma lei lo tradisce. Allora Osea sfoga tutto il suo riesentimento, la ripudia e la caccia dalla propria casa:

«Accusate vostra madre, accusatela, perché lei non è più mia moglie e io non sono più suo marito! Si tolga dalla faccia i segni delle sue prostituzioni e i segni del suo adulterio dal suo petto; altrimenti la spoglierò tutta nuda e la renderò simile a quando nacque, e la ridurrò a un deserto, come una terra arida, e la farò morire di sete. I suoi figli non li amerò, perché sono figli di prostituzione. La loro madre, infatti, si è prostituita, la loro genitrice si è coperta di vergogna, perché ha detto: «Seguirò i miei amanti, che mi danno il mio pane e la mia acqua, la mia lana, il mio lino, il mio olio e le mie bevande». Perciò ecco, ti chiuderò la strada con spine, la sbarrerò con barriere e non ritroverà i suoi sentieri. Inseguirà i suoi amanti, ma non li raggiungerà, li cercherà senza trovarli. Allora dirà: «Ritornerò al mio marito di prima, perché stavo meglio di adesso». Non capì che io le davo grano, vino nuovo e olio, e la coprivo d'argento e d'oro, che hanno usato per Baal. Perciò anch'io tornerò a riprendere il mio grano, a suo tempo, il mio vino nuovo nella sua stagione; porterò via la mia lana e il mio lino, che dovevano coprire le sue nudità. Scoprirò allora le sue vergogne agli occhi dei suoi amanti e nessuno la toglierà dalle mie mani. Farò cessare tutte le sue gioie, le feste, i noviluni, i sabati, tutte le sue assemblee solenni. Devasterò le sue viti e i suoi fichi, di cui ella diceva: «Ecco il dono che mi hanno dato i miei amanti». Li ridurrò a una sterpaglia e a un pascolo di animali selvatici. La punirò per i giorni dedicati ai Baal, quando bruciava loro i profumi, si adornava di anelli e di collane e seguiva i suoi amanti, mentre dimenticava me!». (Os 2, 4-15)

3. Il riscatto e la libertà

L’amore ha la meglio sul tradimento, Osea riscatta Gomer e le rende la sua libertà:

«Il Signore mi disse: “Va' ancora, ama la tua donna: è amata dal marito ed è adultera, come il Signore ama i figli d'Israele ed essi si rivolgono ad altri dèi e amano le schiacciate d'uva”. Io me l'acquistai per quindici pezzi d'argento e un homer e mezzo d'orzo e le dissi: “Per molti giorni starai con me, non ti prostituirai e non sarai di alcun uomo; così anch'io mi comporterò con te”».

4. La prospettiva del «per sempre»

Osea «attira» a se Gomer e torna a vivere con lei:

Perciò, ecco, io la sedurrò, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore. Le renderò le sue vigne e trasformerò la valle di Acor in porta di speranza. Là mi risponderà come nei giorni della sua giovinezza, come quando uscì dal paese d'Egitto. E avverrà, in quel giorno - oracolo del Signore - mi chiamerai: «Marito mio», e non mi chiamerai più: «Baal, mio padrone». Le toglierò dalla bocca i nomi dei Baal e non saranno più chiamati per nome.n quel tempo farò per loro un'alleanza con gli animali selvatici e gli uccelli del cielo e i rettili del suolo; arco e spada e guerra eliminerò dal paese, e li farò riposare tranquilli. Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nell'amore e nella benevolenza, ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore. E avverrà, in quel giorno - oracolo del Signore - io risponderò al cielo ed esso risponderà alla terra; la terra risponderà al grano, al vino nuovo e all'olio e questi risponderanno a Izreèl. Io li seminerò di nuovo per me nel paese e amerò Non-amata, e a Non-popolo-mio dirò: «Popolo mio», ed egli mi dirà: «Dio mio»». (Os 2,16-25)

 

L'amore nuziale non è un'avventura ma una vicenda

Ogni vicenda amorosa è rischiosa perché sfida conflitti di varia natura (per questioni di genere, temperamento, cultura, educazione...). E anche perché il luogo della massima intimità, la coppia amorosa, si trasforma a volte in un covo di vipere. Quante lacerazioni e ferite si danno e si ricevono; quante offese e violenze si consumano tra le mura di casa (psicologiche, morali, fisiche...).

I profeti, usando la metafora dell'amore nuziale, sono consapevoli di parlare non solo della relazione incompiuta e imperfetta tra uomo e donna, ma anche dell'amore di Dio, che si intravede attraverso quella metafora e che, invece, è compiuto e perfetto.

Questa idea dell'amore di Dio e dell'uomo come realtà ancora incompiuta ha un grande valore pedagogico e va tenuta sempre presente. Nessuna esperienza umana, anche la più bella come l'innamorarsi di un uomo e di una donna, va assolutizzata. Ogni esperienza umana va vissuta nella spiritualità dell'attesa, non solo nella gioia del compimento.

La vicenda di Osea è un continuo rincorrersi e ritrovarsi tra gli amanti, il che dice la necessità tra i due di una forte componente di perseveranza, attesa e pazienza. Purtroppo, come nota Amoris latitia, oggi «le crisi coniugali frequentemente si affrontano in modo sbrigativo e senza il coraggio della pazienza, della verifica, del perdono reciproco, della riconciliazione e anche del sacrificio» (AL 41).

«La storia di una famiglia è solcata da crisi di ogni genere, che sono anche parte della sua drammatica bellezza. Bisogna aiutare a scoprire che una crisi superata non porta a una relazione meno intensa, ma a migliorare, a sedimentare e a maturare il vino dell'unione. Non si vive insieme per essere sempre meno felici, ma per imparare ad essere felici in modo nuovo, a partire dalle possibilità aperte da una nuova tappa» (AL 232).

Si cresce, si matura e s'impara sempre qualcosa nella vita e questo, si sa, spesso non senza sbagli e peccati. Dunque i nostri amori sono delle vicende imperfette, come ci dice la storia di Osea e Gomer. Ognuno nella coppia «ama come è e come può, con i suoi limiti, ma il fatto che il suo amore sia imperfetto non significa che sia falso o che non sia reale. È reale, ma limitato e terreno [...]. L'amore convive con l'imperfezione, la scusa, e sa stare in silenzio davanti ai limiti della persona amata» (AL 113).

Se è così allora non dovremmo mai accettare come irreparabile una rottura o un tradimento. «In nessun modo bisogna rassegnarsi a una curva discendente, a un deterioramento inevitabile, a una mediocrità da sopportare. Al contrario, quando il matrimonio si assume come un compito, che implica anche superare ostacoli, ogni crisi si percepisce come l'occasione per arrivare a bere insieme il vino migliore (AL 113).

Non è mai troppo tardi. C'è sempre tempo per ricominciare con speranza. Ciò è possibile per azione dello Spirito, non certo solo ad opera della carne e del sangue. Per questo nella formula liturgica della promessa matrimoniale accanto a «Io accolgo te come mia sposa/o» si è aggiunta nel rito un'integrazione fondamentale: «con la grazia di Cristo».

Non c'è amore senza misericordia e perdono

L'amore è il centro di tutte le aspirazioni umane. L'amore rimane da sempre l'aspirazione più alta, il valore più ammirato, il sentimento più desiderato in coppia e nella vita in genere. D'altra parte, però, ci si trova a vivere un'evidente e lacerante contraddizione: per sua natura ognuno di noi cerca rapporti significativi e belli, ma questa ricerca, scontrandosi con l'odierna fragilità e l'incertezza delle relazioni, fa perdere fiducia e sperimentare un senso di vuoto.

Nella parabola del figlio prodigo, il Padre accoglie al suo ritorno il figlio minore, dopo che questi ha dilapidato tutta la sua eredità, con un atteggiamento misericordioso e non solo senza porre condizioni di sorta, ma addirittura celebrando una festa in suo onore. Questo perdono così gratuito ci sembra senza una logica pedagogica; è sfrontato e, soprattutto, contro un principio di giustizia, come lamenta il figlio maggiore. Noi concepiamo la logica del "delitto e castigo", ma non quella del perdono senza condizioni. Questo è sovversivo. Gesù cita il profeta Osea per dire che il vero culto voluto da Dio è il perdono: «Voglio misericordia, non sacrificio; voglio la conoscenza di Dio, piuttosto che olocausti». Dio mostra la sua santità in mezzo al suo popolo perdonando. È questo l'atteggiamento cui è tenuto il cristiano, come dice san Paolo ai Filippesi: cercare non solo il proprio interesse, ma anche quello degli altri a imitazione di Gesù che «umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2,8). E aggiunge, parlando agli Efesini: «Siate benevoli gli uni verso gli altri, misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi in Cristo» (Ef 4,32).

Imparare a perdonare

Un possibile itinerario per imparare il perdono.

Avere uno sguardo di "supportazione" verso il proprio partner. Normalmente si dice che bisogna avere uno spirito di sopportazione perché una coppia possa durare. Ma risulta difficile sopportare certe offese o tradimenti. San Paolo dice: «Se uno viene sorpreso in qualche colpa, voi, che avete lo Spirito, correggetelo [rialzatelo, secondo un'altra traduzione] con spirito di dolcezza. E tu vigila su te stesso, per non essere tentato anche tu. Portate i pesi gli uni degli altri: così adempirete la legge di Cristo» (Gal 6,1-3). E altrove collega direttamente il perdono alla sopportazione dell'altro: «Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi dunque di sentimenti di tenerezza, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri» (Col 3,12)..

Accettare la propria rabbia e la voglia di farla pagare. Riconoscere la propria rabbia, la sofferenza causata dall'offesa ricevuta, è fondamentale per poterla accettare. Non si deve minimizzare, scusare l'accaduto o pensare che si debba subito perdonare. È chiaro che, con vari meccanismi di difesa, ci si vuole proteggere dalla sofferenza, ma è importante dare un nome ai propri sentimenti. Riconoscere la propria ferita.

Comunicare e condividere la propria ferita. In certi momenti, è importante avere anche qualcuno di cui si ha fiducia per raccontare. Questo sia come coppia che singolarmente. Non ci isola. Avere accanto chi ci "supporta" con amore, e ci accoglie nel nostro sfogo è rassicurante e ci permette di non sentirci soli e abbandonati a noi stessi. L'altro ci fa da specchio, ci aiuta a capire e avviare una trasformazione o elaborazione del vissuto. Penso all’importanza di coppie amiche.

Perdonare se stessi e al contempo cercare di comprendere chi ci ha offeso. Per quanto si voglia dare la colpa all'altro per la ferita ricevuta, si deve fare i conti con il proprio senso di colpa. Si pensava di essere al riparo da certi eventi, invece sono arivati. Bisogna essere umili e riconoscere anche la propria responsabilità. Poi è necessario comprendere l'altro. «Perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Lc 2 ,34), esclama Gesù sulla croce. In realtà - pensiamo noi - chi lo sta crocifiggendo è ben cosciente dell'azione orrenda che sta compiendo. Eppure Gesù ci educa a uno sguardo diverso, che non scusa o giustifica, ma comprende. Cioè «prende dentro» tutta l'umanità dell'altro con i suoi limiti personali, educativi, morali e culturali. E «com-prendere» l'altro ci permette di «com-prendere» noi stessi e vedere la trave che è nel nostro occhio (cf. Le 6,41). Chi ci ha ferito è una persona come noi e quindi necessariamente ci rimanda alle nostre zone d'ombra. Tutti noi abbiamo aspetti e comportamenti negativi, ma siamo ben più di essi. «Com-prendere» l'altro ci aiuta a guardare al suo valore e alla sua dignità, che va ben oltre il suo peccato.

Scoprire di essere debitori del perdono perché noi per primi siamo stati perdonati. Siamo stati perdonati da Cristo, per questo possiamo perdonare. «Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi» (Col 3,13). Allora chi si rende impermeabile al perdono pensa che sia un'umiliazione o una debolezza o una diminuzione della propria dignità. Oppure chi pensa di non avere colpe o crede di essere "sano" e non "sanamente" in colpa ritenendosi giusto, costui non fa esperienza della Grazia del perdono e farà fatica a perdonare. Esiste poi una reciprocità nel perdono: «rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori» (Mt 6,12). «Se voi non perdonerete agli altri, neppure il Padre vostro perdonerà le vostre colpe» (Mt 6,15).

Aprirsi nella preghiera alla grazia del perdono. Il perdono, richiede volontà e impegno, ma in realtà è frutto della preghiera. È questa che unita ai sacramenti, cioè alla comunione di fede con Dio, dona il perdono, atto gratuito di Dio. Non s'impara a perdonare l'altro, cioè ad amarlo veramente, nelle discussioni, ma nella preghiera. Dalla preghiera può nascere un dialogo profondo illuminato dalla grazia.

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